Si chiude nel peggiore dei modi il matrimonio tra Sarri e la Lazio. Nella giornata di oggi il tecnico ha rassegnato le dimissioni, non sarà più il tecnico della squadra biancoceleste. Un triste finale per un percorso intrapreso nel 2021 e che ha portato la Lazio ad ottenere un importante quanto insperato e mai quotato secondo posto nella stagione 22/23. L’epilogo però era già scritto, Sarri lo ha solo anticipato.
L’addio si sarebbe verificato a giugno
La situazione si stava facendo sempre più complicata. La squadra era in evidente difficoltà e l’ambiente era depresso. Le quattro sconfitte consecutive hanno aperto la crisi, coniugata anche dai continui battibecchi tra Sarri e Lotito. Un ambiente intossicato e che inevitabilmente avrebbe portato alla rottura dopo la fine della stagione.
Sarri paga un mercato non all’altezza
La cessione di Milinkovic-Savic, per quanto dolorosa, doveva segnare una svolta in positivo per l’ambiente biancoceleste. Addio doloroso, ma il ricavato dalla vendita poteva essere investito meglio. In difesa non c’è stato nessun acquisto. A centrocampo sono arrivati Rovella, Guendouzi e Kamada. L’ex Monza però ha avuto difficoltà inizialmente. Il francese è stato un acquisto giusto, ma non si poteva credere che fosse lui il rimpiazzo per il serbo. E il giapponese? Acquisto senza una logica precisa, serviva una mezzala ed è arrivato un trequartista e infatti si è visto l’apporto minimo del giocatore. In attacco? Castellanos ha una buona tecnica, ma non sembra un giocatore pronto per la Serie A. Sarri aveva chiesto Sanabria, Lotito gli ha portato l’argentino. Forse l’acquisto di Isaksen è stato il più sensato per il gioco di Sarri, anche se il tecnico aveva iniziato ad usarlo con più frequenza solo nell’ultimo periodo.
Una squadra a fine ciclo
C’è poi un altro aspetto da sottolineare. Molti elementi della Lazio sono a fine ciclo e il loro rendimento è calato in maniera consistente. Provedel si è confermato, ma non la difesa. Romagnoli continua ad essere altalenante e Casale non si è confermato. Sarri ha provato Marusic centrale, poi ha rilanciato Gila. Il rendimento non è cambiato. Anche gli esterni di difesa sembrano non avere più nulla da dare. Luis Alberto a centrocampo illumina per le qualità che ha, però non sembra al massimo delle sue potenzialità. Anche l’attacco è crollato. Immobile, dall’alto dei suoi 34 anni, non dà più quelle garanzie che l’avevano reso imprescindibile per la squadra. Felipe Anderson ha perso lucidità e anche lui inizia a non garantire più i colpi. La delusione però è Zaccagni. L’ex Verona era chiamato a confermarsi dopo un’annata straordinaria come quella precedente e non si è confermato.
Sarri però ha delle colpe
Ovviamente però ci sono delle colpe anche da parte dello stesso tecnico. Che probabilmente è il meno colpevole di questa situazione, ma che non ne è esente. Prima di tutto Sarri ha confermato la sua eccessiva rigidità mentale sul 4-3-3. Non si è mai scollato da lì, ha sempre proseguito con tale schema. Non ha provato a cambiare le carte in tavola cercando qualche soluzione come un ritorno al falso nove, cosa che aveva già fatto con ottimi risultati nella passata stagione. E non si può negare che avesse di nuovo perso il controllo della squadra. Non è riuscito a trovare nei giocatori le giuste motivazioni per poter ribaltare o almeno rendere meno amara la stagione. Sarri lascia la Lazio dopo due stagioni e mezzo e un secondo posto conquistato. Rinuncia così a cinque milioni netti.


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