Il 29 settembre di 35 anni fa nasceva Kevin Durant, uno dei migliori marcatori della storia del basket. Oklahoma City Thunder, Golden State Warriors, Brooklyn Nets e Phoenix Suns sono le squadre che hanno potuto toccare con mano il talento di KD.
I PRIMI PASSI
Kevin Wayne Pratt nasce a Washington il 29 settembre 1988. Nel giro di pochi anni si rivela essere l’ennesimo caso in cui il padre, Wayne, abbandona la famiglia e affida il piccolo Kevin all’ex compagna Wanda, poco più che ventenne. Il bambino cresce grazie all’aiuto di nonna Barbara e alla compagnia dei tre fratelli nel Prince George’s Country, un quartiere del Maryland istituito nel 1969 con quasi un milione di abitanti. Nel frattempo, all’anagrafe il cognome paterno “Pratt” lascia spazio a “Durant”, quello materno, e si appassiona al basket. I suoi beniamini sono Michael Jordan, che in quel periodo completa il secondo ritorno in NBA e firma proprio con i Washington Wizards, e successivamente Vince Carter, da molti considerato il miglior schiacciatore di sempre.
Durant inizia ben presto a giocare ad altissimi livelli, aiutato anche da una cresita sana e repentina che (a tratti) lo mette perfino in imbarazzo. A circa 13 anni riabbraccia il padre, con cui viaggia attaverso gli USA e gioca i primi tornei dilettantistici. Da quel momento KD si fa notare in AAU, per poi competere quattro anni in High School con le maglie di National Christian Academy, Oak Hill Academy e soprattutto Montrose Christian School, dove termina la stagione con una doppia doppia di media da 23.6 punti e 10.9 rimbalzi. Già affezionato alla sua maglia numero 35 in onore dell’ex coach Charles Craig, venuto a mancare a 35 anni, si prepara ad un solo anno di College. Durant si unisce ai Texas Longhorns e, viaggiando a 25.8 punti e 11.2 rimbalzi a partita, diventa il primo freshman di sempre a vincere il Naismith College Player of The Year. Ben presto il talento di Kevin è noto a tutti, a tal punto da rendersi eleggibile al Draft NBA per la stagione 2007/2008.

LA CARRIERA NBA
La carriera di Durant in NBA prende il via nel 2007, quando gli allora Seattle Supersonics decidono di spendere la seconda chiamata assoluta per aggiudicarsi il nativo di Washington. Viaggiando a 20.3 punti, 4.4 rimbalzi e 2.4 assist a partita diventa uno dei 42 rookie (ai quali si aggiungeranno Tyreke Evans, Blake Griffin, Joel Embiid, Donovan Mitchell, Luka Doncic e Zion Williamson) in grado di mantere una media di 20 punti a notte nella prima stagione NBA e di conseguenza vince il premio di Rookie Of The Year. Sorprendentemente l’impatto avuto da Durant non scuote i Supersonics, che terminano all’ultimo posto della Western Conference con un record 20-62. La società – che nel frattempo si è spostata ad Oklahoma cambiando il nome in Oklahoma City Thunder – è ancora molto lontana dalle posizioni di vertice, ma dà continuità al suo progetto ai Draft del 2008 e del 2009, selezionando due giocatori che risulteranno fondamentali come Russell Westbrook e James Harden. Infatti, nel 2010, OKC termina la regular season all’ottavo posto e si qualifica ai playoff dopo cinque anni di assenza. Così come accaduto nell’ultima apparizione di OKC in post-season, la franchigia viene sconfitta in 6 partite contro i futuri campioni NBA: prima i San Antonio Spurs in semifinale di Conference, poi i Los Angeles Lakers al primo turno.
Il percorso intrapreso riceve ugualmente conferme positive anche nell’annata 2010/2011, chiusa al quarto posto ad Ovest con 55 vittorie ed un gap di appena .024 dal secondo posto presidiato da Lakers e Mavericks. Come spesso accade, il vero salto di qualità si vede nei playoff. I Thunder spazzano via Denver al primo turno e Memphis al secondo, raggiungendo la prima finale di Conference dal 1996. Nonostante la sconfitta contro Dallas, OKC diventa sempre più la squadra di Kevin Durant, che nel 2010 e nel 2011 segna rispettivamente 30.1 e 27.7 punti di media. Infatti, in entrambe le stagioni, supera il 50% da due e il 35% da tre, cifre nettamente superiori rispetto al 45.5% e 28.8% della prima stagione NBA. Nel 2012 Oklahoma alza ulteriormente l’asticella raggiungendo le Finals grazie ad un KD che tira col 51.7% dal campo e col 37.3% da tre in post-season, ma non è sufficiente per battere i Miami Heat di LeBron James, che – così come accadrà nella stagione successiva – si laureeranno campioni. Seppur le medie di Durant crescano fino a superare costantemente i 30 punti a partita, tanto in regular season quanto ai playoff, e trascini i Thunder al primo posto della Western Conference del 2014, non riesce più a costruirsi una possibilità di portare l’anello in Oklahoma. Il rendimento individuale di KD non può però passare inosservato, anzi, gli permette di vincere il premio di MVP 2014 davanti a James e Griffin. Dalla stagione successiva, il problema dell’NBA è la nascita di una nuova dinastia: i Golden State Warriors. La temibile squadra di Steve Kerr non fa sconti nè ad Ovest nè ad Est, a tal punto che nel 2015 fissa il nuovo record di vittorie in regular season a 73-9, battendo il precedente 72-10 appartenente ai Chicago Bulls del 1996. Va sottolineata in particolar modo la finale di Conference del 2016, in cui i Thunder, guidati da un Durant sempre sopra i 25 punti (di cui 40 in Gara-5), si sono trovati in vantaggio 3-1 contro i Dubs che, però, hanno avuto la forza di ribaltare l’esito della serie ed approdare alle Finals.

Da questo momento, Durant applica alla perfezione la nota frase di Giulio Cesare: “Se non puoi batterli, unisciti a loro”. Nessuno poteva immmaginare che Gara-7 tra Golden State e OKC avrebbe preceduto un epilogo così drammatico del rapporto tra KD ed Oklahoma. Al termine della stagione Durant diventa free agent ed è libero di firmare con qualsiasi squadra. La sua scelta ricade sulla franchigia di San Francisco, formando uno dei roster più forti della storia insieme a Stephen Curry, Klay Thomson, Draymond Green e Andre Iguodala, a cui si aggiungerà un anno dopo anche DeMarcus Cousins. Come da pronostico, nelle prime due stagioni i Warriors non lasciano scampo a nessuno: ai playoff del 2017 vincono 16 partite su 17 e nel 2018 soffrono contro Houston prima di conquistare il terzo anello in quattro anni. In entrambi i casi Durant è votato MVP delle Finals e Golden State è vista come principale favorita al titolo anche nel 2019, anno in cui l’obiettivo è vincere il three-peat. Improvvisamente durante le finali contro i Toronto Raptors accade l’impensabile: i Warriors si vedono privati di Thompson e Durant per infortunio, rispettivamente a causa della rottura della rottura del crociato e del tendine d’Achille, e cedono lo scettro.
Al termine della serie il triennale di KD nella Baia scade e non viene prolungato, anche a causa di un litigio interno – di cui Durant si dirà pentito – con il compagno di squadra Green. L’ormai ex giocatore dei Warriors si accorda con i Brooklyn Nets, che nella stessa estate firmano anche il playmaker Kyrie Irving dai Boston Celtics. L’esperienza newyorkese si rivela un buco nell’acqua, soprattutto a livello collettivo. Durant rimane ai box tutta la prima stagiona a causa dell’infortunio subito pochi mesi prima, ma nemmeno nel 2021, quando i Nets ricreano la coppia dei Thunder ingaggiando James Harden, la situazione trova una svolta. Steve Nash non riesce ad arginare gli infortuni che (soprattutto in post-season) limitano fortemente la squadra. L’apice dei problemi fisici si riscontra in semifinale di Conference contro i Bucks, in cui Irving è costretto a fermarsi ed Harden appare solo a mezzo servizio. Nel momento di maggior difficoltà Durant si carica la squadra sulla spalle, ma non riesce ad evitare l’eliminazione. È però corretto ricordare la partita leggendaria giocata da KD in Gara-5, in cui si rende protagonista di una delle migliori prestazioni della storia dei playoff con 49 punti, 17 rimbalzi e 10 assist che vale il 3-2 a favore Brooklyn. La serie torna immediatamente in equilibrio e si decide a Gara-7, dove ancora una volta i Nets si affidano ad un Durant da 48 punti. Col senno di poi, la differenza tra un possibile titolo ed un’eliminazione è rappresentata da un numero di scarpa troppo grande. A 6’’ dalla fine Milwaukee conduce 109-107, ma la palla è tra le mani di “Easy Money Sniper”, che sfida un grande difensore come PJ Tucker e lo batte segnando un canestro dall’altissimo coefficiente di difficoltà. A differenza di quanto sperato dal numero 7 dei Nets, dopo un’attenta revisione, gli arbitri decidono che quel tiro vale 2 punti perchè l’alluce del piede sinistro poggia sulla linea. Si va dunque all’overtime, dove Milwaukee mette a referto un 6-2 che li proietta verso le finali della Eastern Conference ed il secondo titolo della loro storia.

Nella stagione 2021/2022 gli infortuni continuano ad essere il nemico principale dei Nets, che cedono Harden ai Philadelphia 76ers in cambio di Ben Simmons. A pochi mesi di distanza, nel gennaio 2023, anche Kyrie Irving viene scambiato ai Dallas Mavericks, la cui trade precede quella di Durant ai Phoenix Suns. In Arizona KD forma insieme a Devin Booker una delle coppie offensive più temibili ed imprevedibili della lega, che a causa di diversi problemi fisici del figlio di Wanda non ha però modo di giocare insieme con continuità. Vengono dunque vanificate diverse ottime prestazioni dei due negli ultimi playoff ed i Suns si fermano in semfiniale di Conference contro i Nuggets, che entro poche settimane si infileranno l’anello al dito.
LE CARATTERISTICHE DI DURANT
Kevin Durant è uno dei giocatori più talentuosi della storia dell’NBA. Il suo ruolo ideale è quello di ala piccola, ma, oltre che essere un grande tiratore da dentro l’area, col passare delle stagioni ha raggiunto ottime percentuali anche da dietro l’arco, toccando un picco di 45% nel 2020/2021 e superando il 40% in sei stagioni su quindici. Nella metà campo offensiva, dunque, gli viene unanimamente riconosciuta l’abilità di trovare il canestro anche in soluzioni complicate. Escludendo l’annata da rookie nel 2008, KD non è mai sceso sotto i 25 punti a partita e nella stagione da MVP (2014) ha chiuso la regular season con una media di 32.0.
Le capacità di Durant di trovare il canestro si vedono soprattutto nel classico tiro in sospensione ed in allontanamento, il suo marchio di fabbrica. Uno dei punti a suo favore è un fisico di assoluta rarità – 2.13 metri in altezza a fronte di 109 chili – che, unito ad una mobilità fuori dal normale, rende il movimento di Kevin di difficile lettura. Così facendo risulta estremamente pericoloso palla in mano, riuscendo a crearsi spazio e tirare sulla testa del difensore. Quest’ultimo, dal canto suo, fatica spesso a trovare una contromisura e non riesce a rispondere al movimento dell’attaccante. Questo genere di tiro viene da sempre considerata una delle soluzioni più difficili da marcare su un campo da basket, a tal punto che fu utilizzata anche da altri specialisti come Michael Jordan e Dirk Nowitzki. In particolar modo, Durant ha pubblicamente dichiarato di ispirarsi al cestista tedesco. Grazie a questi fondamentali e ad una spiccata varietà di soluzioni occupa il tredicesimo posto all-time per punti segnati a quota 26.892 e il ventunesimo per triple realizzate a 1863.

Oltre alle spaventose qualità offensive, KD può salire di livello anche in fase difensiva grazie alla notevole stazza fisica. La presenza di Durant risulta infatti fondamentale nei pressi del ferro, dove offre un apporto significativo alla squadra. A sostegno di questa argomentazione ci sono le opinioni di diversi addetti ai lavori (come Green e Perkins), secondo i quali nella seconda metà di carriera avrebbe dovuto essere candidato al premio di difensore dell’anno – riconoscimento che l’ha visto raggiungere il nono posto nella graduatoria del 2018.
Caratterialmente, invece, è un giocatore freddo e razionale. È raro scovare qualche emozione nel suo volto, anche durante le partite importanti o nei momenti di massima fiducia personale. Difficilmente lo si vede tanguto dall’usuale trash talking americano, ma secondo Draymond Green è uno dei massimi esponenti di questa specialità. A conferma di ciò, si può notare la sua frequente attività sui social media (in particolar modo Twitter) dove esprime le sue opinioni senza filtri e mezze misure.
A livello di palmares individuale Durant è uno dei cestisti più premiati e titolati dell’era moderna. Oltre ai già citati ROTY del 2008, MVP del 2014, MVP delle Finals nel 2017 e nel 2018, vanta anche 12 selezioni all’All Star Game (MVP nel 2012 e nel 2019), 10 primi quintetti NBA ed è riuscito a conquistare il premio di miglior marcatore della lega nel 2010, 2011, 2012 e 2014. Con la nazionale statunitense ha trovato altrettanta fortuna, vincendo l’oro olimpico a Londra 2012, Rio 2016 e Tokyo 2020 e il mondiale in Turchia nel 2010, dove è stato insignito dell’MVP del torneo.
DICONO DI LUI
Dopo la già citata vittoria in Gara-5 ai playoff 2021 contro i Milwaukee Bucks, in cui Durant terminò con 49 punti, 17 rimbalzi e 10 assist, LeBron James disse:
“Grandezza! Gente: apprezzatela finchè ne avete la possibilità!”
Steve Kerr, suo coach a Golden State e compagno di squadra di Jordan ai Bulls dal 1993 al 1995 e dal 1995 al 1998, ha recentemente scomodato un paragone importante con Michael:
“Kevin Durant ha più talento di Michael Jordan”
Anche Reggie Miller, stella degli Indiana Pacers a cavallo tra i due millenni, ha più volte speso parole al miele sul gioco di Durant:
“È l’essere umano più difficile da marcare che sia mai stato creato, almeno per quanto riguarda la metà campo offensiva. Può fare qualsiasi cosa.”



Lascia un commento