Lo Slam Dunk Contest andato in scena il 6 Febbraio 1988 è, senza troppi dubbi, la più bella edizione di sempre. Uno dei migliori schiacciatori del pianeta, Dominique Wilkins, contro il primo Michael Jordan, una combinazione di esplosività e atletismo senza precedenti.
Gli altri cinque partecipanti sono: Clyde “The Glide” Drexler che nel 1992 contenderà l’anello ai Bulls, Otis Smith, Jerome Kersey, Cadillac Anderson e Spud Webb, che dall’alto del suo metro e sessantotto ha già uno slam dunk contest in bacheca, quello del 1986.

Le regole sono semplici: 7 partecipanti, due schiacciate a testa. Da 7 diventano prima 4 e poi in 2, che si contenderanno la vittoria finale con tre schiacciate per uno.
A 5 giudici l’arduo compito di votare l’esibizione migliore.
I primi tre esclusi sono Spud Webb, Cadillac Anderson e Jerome Kersey, mentre Clyde Drexler e Otis Smith non vanno oltre il secondo turno.
La finale, come da copione, vede protagonisti i due dominatori dei cieli, entrambi già una volta campioni. The Human Highlight Film ha vinto nel 1985 e vincerà di nuovo nel 1990, mentre His Airness ha vinto l’edizione precedente, quella del 1987.

Sarà una sfida pazzesca, in un clima infernale, ma spiccatamente a favore del 23. Non è una questione di status, ma di appartenenza. Si gioca a The Madhouse on Madison, il Chicago Stadium, la tana dei Bulls. La casa di Sua Maestà.
MJ all’epoca ha 25 anni, è alla quarta stagione in NBA ed è nel cosiddetto prime atletico. Non ha ancora vinto un titolo, ma il 1988 segna la prima delle tante svolte della sua carriera. L’altro è Dominique Wilkins, 28 anni, stella degli Atlanta Hawks, schiacciatore professionista e penetratore micidiale, che a fine carriera verrà a giocare in Italia, alla grande Fortitudo di Seragnoli.
Pronti, via, parte Wilkins.
Si posiziona a 7-8 metri dal canestro, appena fuori dalla linea dei 3 punti.
Un palleggio, poi lancia la palla verso il ferro per prendere slancio.
Il rimbalzo è calcolato al millimetro, ma per arrivarci serve praticamente un trampolino.
Nessun problema, Dominique salta un metro abbondante, arriva oltre i 3.05 del ferro e con una cattiveria spaventosa deposita il pallone nella retina.

Tutto bello, ma ora tocca all’altro, che non è da meno. Prende velocità in diagonale e appena arriva dentro il pitturato spicca il volo per inchiodare in reverse. Sfilza di 10 per entrambi. Il primo round finisce in parità.
Stavolta i duellanti optano per due schiacciate tutto sommato simili. Wilkins opta per il suo classico windmill. Partenza in angolo, due palleggi e si mangia il ferro col mulinello a una mano. 50.
MJ, invece, parte in ala, stacca all’altezza del post basso, cambia mano in aria e schiaccia. 47.
The Human Highlight Film è avanti di 3 ad una sola schiacciata dalla vittoria.
Per chiudere la gara, Dominique sceglie ancora il windmill, stavolta a due mani.
Parte dall’angolo opposto, ancora due palleggi, stacca quasi sotto il canestro, vola altissimo e si appende al ferro. Per i giudici non va oltre il 45.
Michael adesso ha la sua chance, ma non può commettere il minimo errore. Per vincere deve fare almeno 49. Impossibile? Quasi.
Ed è proprio qui che Jordan tira fuori il coniglio dal cilindro per chiudere in bellezza, per mettere in bacheca il primo trofeo di una stagione leggendaria.
Prende una rincorsa lunga, lunghissima. La corsa, scandita dai palleggi, che inizia lentamente, si fa sempre più veloce. Passata la metà campo i palleggi si fanno più decisi, poi all’altezza della lunetta, stacca entrambi i piedi da terra. Non salta, vola. Il resto è storia.

La palla finisce dentro, il Chicago Stadium esplode, i giudici impazziscono. 50.
Dominque Wilkins, seduto a bordo campo, guarda attonito il suo rivale. Il più grande schiacciatore del pianeta, all’apice della sua carriera, è sconfitto nel più bell’All Star Saturday che la storia ricordi. La NBA si consegna, fisicamente, nelle mani di Michael Jeffrey Jordan da Wilmington, North Carolina.

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