Correva il giorno 30 Dicembre 1984 – Tanti Auguri King James

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“With the first pick in 2003 NBA Draft, the Cleveland Cavaliers select LeBron James”

Con queste parole, dal palco del Madison Square Garden il commissioner David Stern, annunciava l’ingresso di LeBron James nella lega più famosa del mondo.

La stretta di mano che sancisce l’inizio di una nuova era.
Just a kid from Akron

Il ragazzo di Akron ce l’ha fatta. Ha avuto la meglio sul ghetto, sempre pronto ad accogliere i ragazzi dalle vite difficili.

Un’infanzia terribile, trascorsa senza un padre e senza un dollaro in tasca, fatta di sistematici traslochi per adattare il proprio stile di vita con le finanze dell’amata madre in caduta libera.

Essere un bambino nero, nell’Ohio dei primi anni ‘90, significa, nella migliore delle ipotesi vivere allo stato brado per la città, con le sole regole della strada a scandire la giornata e la vita.

Chi vive in quei posti mette continuamente a repentaglio la propria vita e ogni giorno vissuto in più è un giorno guadagnato.

Ad appena nove anni, un angelo custode lo strappa alla malavita.

Si chiama Frank Walker e di professione fa l’allenatore di football a scuola.

Il giorno del draft, insieme a mamma Gloria, c’è anche Frankie Walker, una sorta di fratello adottivo.

Ha capito che il ragazzo ha un talento incredibile, da preservare perché può veramente diventare qualcuno di importante.

Mamma Gloria, a malincuore, ma per garantirgli un futuro migliore, lo affida agli Walker nei giorni lavorativi. La parentesi lontano da casa lo indirizzerà verso il basket e gli garantirà sia disciplina che una vita normale. Finisce a stento le elementari saltando, in un anno, 100 giorni su 160 per seguire Mamma Gloria, alla perenne ricerca di stabilità. Dopo 5 anni passati soprattutto a casa Walker, Gloria e Bron si stabiliscono al 439 di Hickory Street, ad Akron.

Dopo gli infernali anni iscrive alla St Vincent-St Mary High School, dove il suo immenso talento emerge sia nel basket che nel football, diventando ben presto uno dei migliori Wide Recevier dello stato e al tempo stesso, uno dei più cristallini talenti della palla a spicchi.

Quando però arriva il momento di scegliere fra i due sport, ecco che l’amore per il football viene messo in secondo piano in favore della pallacanestro. Mai scelta fu più azzeccata.

Nemmeno Kobe Bryant, ai tempi della High School, aveva raggiunto questa popolarità.

In migliaia arrivano da tutta l’america per vedere quel ragazzo prodigio che sul parquet incanta tutto l’Ohio. I 1200 posti della palestra della scuola di colpo sono diventati pochissimi. Per questo motivo, i STVM Fighting Irish si trasferiscono nel palazzetto dell’Università di Akron da quasi 6000 posti.

Nessun liceale aveva mai ottenuto così tanta attenzione mediatica da finire addirittura sulla copertina di Sport Illustrated, che lo battezzerà The Chosen One. Era il 18 Febbraio 2002 e, meno di un anno dopo, la sfida fra lui e l’amico di una vita, Carmelo Anthony, in forza alla Oak Hill Academy, finisce addirittura in diretta su ESPN.

Le premesse per diventare uno dei giocatori più iconici della lega ci sono tutte, ma in NBA si gioca un altro sport e passare alla storia come uno dei più sopravvalutati di sempre non è difficile.

Cleveland, home.

Il 22 Maggio 2002, appena tre mesi dopo la famosa copertina di Sport Illustrated, John Lucas, coach dei Cleveland Cavaliers, organizza una giornata di workout invitando diversi giovani talenti sia di college che di high school, così come nel 1995 fece per Kobe Bryant.

Ovviamente, c’é LeBron, che arriva in punta di piedi, quasi con timidezza, ed esce trionfante, dopo aver dominato le partitelle. Tutto bello se non fosse che la NBA vieta ogni contatto tra le franchigie e i giocatori non ancora eleggibili al draft. Risultato 150’000$ di multa ai Cavs, mentre al coach vanno 2 giornate di squalifica più 250’000$ da pagare.

Al draft manca più di un anno, ma a Cleveland sale la febbre dell’oro.

Poco importa se ai piani alti qualcuno non è d’accordo, Cleveland non vede l’ora di avere fra le mani il fenomeno di casa.

Il 29 Ottobre 2003, per la prima volta in una partita ufficiale, veste la canotta dei Cleveland Cavaliers, la squadra che amava da bambino. Si gioca a Sacramento e per rompere il ghiaccio piazza subito un assist a Ricky Davis, mentre un minuto e mezzo dopo, spara dentro i primi due punti. Riceve palla in angolo, punta Doug Christie e gli spara un jump in faccia. Sono i primi due punti, che battezzano l’arrivo di una nuova stella. A fine partita saranno 25 punti, 6 rimbalzi, 9 assist e 4 palle rubate.

In campo aperto è una sentenza: tomahawk dunk e due punti anche ad occhi chiusi.

Già all’esordio batte il primo record: mai nessuno aveva debuttato in NBA segnando 25 punti venendo direttamente dalla high-School.

Quando LeBron arriva ai Cavs la squadra naviga in acque tutt’altro che serene. I playoff mancano da 6 anni e sono reduci da una stagione da sole 17 vittorie. Fare peggio è oggettivamente impossibile.

Ben presto, però, il Front Office dei Cavaliers si rende conto di avere tra le mani qualcosa in più di un gran giocatore e spunta la necessità di creare un roster competitivo intorno al numero 23. Uno come LeBron, nella storia di una franchigia come i Cleveland Cavaliers, può passare una volta, non di più.

Passano gli anni e la squadra, seppur a fatica, stagione dopo stagione migliora, fino a toccare l’apice nella primavera del 2007, quando raggiungono le Finals.

Purtroppo, per LeBron e compagni, i San Antonio di Gregg Popovich sono imbattibili e in sole 4 gare liquidano la serie. La squadra non è forte come si pensava, il Prescelto da solo non basta se due dei tre migliori giocatori a roster sono, con tutto il rispetto, Larry Hughes e Zydrunas Ilgauskas. Se poi glli altri hanno Manu Ginobili, Tim Duncan e Tony Parker tutti nel loro prime, allora non ci mettiamo neanche a discutere.

La prima sconfitta è sempre la più devastante.

Su LeBron iniziano a piovere le prime grosse critiche. Viene definito un perdente, uno che non vincerà mai un titolo, addirittura c’è chi lo etichetta come sopravvalutato.

Nei successivi tre anni i Cavs si fermeranno due volte alle Semifinali di Conference e una volta alle Finali dell’Est.

È il giorno della marmotta, direbbe Flavio Tranquillo.

È chiaro che se Cleveland vuole tenere il Re, l’asticella va alzata e per alzare l’asticella servono compagni su misura.

Il contratto di LeBron scade nell’estate del 2010 e nella sua testa, dopo la sconfitta contro San Antonio, inizia a maturare l’idea di lasciare Cleveland e l’Ohio per andare a vincere altrove.

Miami, per diventare un uomo

Se deve lasciare Cleveland, lo farà in grande stile, per rincorrere un sogno chiamato anello.

Per tutta la primavera 2010 si susseguono voci su dove andrà LeBron. C’è chi dice Knicks, chi Miami, chi spera di vederlo ai Lakers, chi ai Boston Celtics, ma solo lui e il suo agente, tale Rich Paul, fondatore di Klutch Sports, una delle più grandi agenzie di rappresentanza dei giocatori, sanno dove andrà.

La sera dell’8 Luglio 2010, davanti a 13 milioni di persone, in diretta su ESPN, LeBron James comunica al mondo che di lì a poche settimane andrà a giocare ai Miami Heat di Dwyane Wade, dove troverà anche Chris Bosh, un altro pezzo pregiato di quel magico draft 2003.

Estate 2010, il Re va a Miami.

In this fall I’m going to take my talents to South Beach and join the Miami Heat.

LeBron Raymone James, 08/07/2010. The Decision, ESPN.

A Cleveland diventa in un attimo il nemico pubblico. Nelle piazze vengono bruciate le sue canotte e, addirittura, il presidente dei Cavs dirà che vinceranno un titolo prima che lo vinca LeBron. Lui che era l’idolo di casa, adesso è

Al primo anno, passato il periodo di adattamento ai nuovi schemi di Coach Spoelstra (dopo aver provato a farlo saltare), la squadra si impone come assoluta dominatrice dell’est, ma alle Finals i Miami Heat si sciolgono come burro sotto il sole e perdono 4-1

Due volte alle finals, due volte sconfitto.

La sconfitta contro Nowitzki e i suoi Dallas Mavericks spinge The Chosen One ad alzare ancora di più l’asticella. Sulla sua testa piovono critiche esattamente come quattro anni prima. C’è chi dice che non vincerà mai niente, chi lo apostrofa come sopravvalutato e chi gode della sua disfatta.

Il secondo anno a South Beach è quello buono: domina la RS vincendo l’MVP, è straripante ai playoff e gigantesco alle Finals contro OKC. È il 22 Giugno 2012 e per la prima volta, LeBron James alza al cielo il famigerato Larry O’Brien.

A 28 anni, dopo due finali perse, LeBron James è campione NBA per la prima volta.

È la rivincita del ragazzo di Akron, che finalmente si toglie l’etichetta del perdente, scrivendo il proprio nome nell’albo d’oro degli MVP delle Finals.

La storia si ripete un anno dopo, in una delle serie di finali più belle di sempre contro quei San Antonio Spurs che, 6 anni prima, gli negarono la prima gioia. Dopo il match point Spurs, il Re trascina i suoi sudditi al titolo con 69 punti combinati fra Gara 6 e Gara 7.

In gara 6 succede di tutto: San Antonio è sopra di 5 a ventotto secondi dalla fine: Ginobili fa 1/2 ai liberi. Miami risponde con un time out. Fuori Bosh, dentro Mike Miller.

Rimessa, palla al Re che tenta la tripla ma spara un mattone terribile. Rimbalzone di Miller, palla di nuovo a LeBron, tripla identica a quella sbagliata quattro secondi prima, solo rete.

Palla a San Antonio, fallo di Miller su Kawhi che va in lunetta. Di nuovo 1/2.

Stavolta Spoelstra non chiama time out, lascia giocare. Tripla di LeBron, che ancora non va dentro. Bosh vola a rimbalzo, la passa a Ray Allen che dal suo angolo non sbaglia mai. Overtime, dove i Miami Heat vincono e rimandano tutto all’ultima partita.

Gara 7 si gioca punto a punto, parziale dopo parziale. Coi nervi a mille fino all’ultimo possesso. Sul +2 Heat, a meno di un minuto dalla sirena, Tim Duncan ha il tiro del pareggio, il suo classico gancio appoggiato al tabellone, ma incredibilmente gli esce.

Nei due possessi decisivi di Gara 7 c’è tutto quello che è diventato (e che diventerà) LeBron: rimessa di Wade, il Re riceve sul logo con 39 secondi sul cronometro di cui 14 per tirare. Chiama un blocco di Chalmers che non si materializza, San Antonio cambia comunque e quindi ottiene la marcatura che vuole lui, ovvero Tony Parker. Bron lo attacca in palleggio, lo salta e appena dentro l’arco palleggio, arresto e tiro. Kawhi, che lo ha dovuto marcare per tutta la serie finale, va immediatamente a contestare il tiro, ma non c’è niente da fare. Esecuzione magistrale del Re, solo rete.

Attacca Kawhi, jump pulitissimo, due punti. Il Re è campione NBA per la seconda volta consecutiva

Quattro secondi dopo, Manu Ginobili tenta un disperato passaggio a mezz’aria verso Tim Duncan, ma The Chosen One ci mette la mano e viene spedito in lunetta. 2/2.

Miami è di nuovo campione.

Ma proprio sul più bello, dopo due titoli, proprio quando i Big Three sembrano aver instaurato una dinastia, un anno dopo le 7 magnifiche gare contro gli Spurs, Gregg Popovich si prende la rivincita.

Cleveland, this is for you

Neanche il tempo di metabolizzare la sconfitta contro San Antonio, che il Prescelto decide di tornare a casa. Stavolta niente show televisivi, ma una lettera scritta col cuore, uscita su Sport Illustrated l’11 Luglio 2014.

The Chosen One torna a casa.

I quattro anni passati a Miami gli sono serviti per maturare, per diventare un uomo, per imparare sia a vincere che a perdere.

Adesso si sente pronto per tornare alla Quicken Loans Arena che, oltre dieci anni prima, gli aveva spalancato le porte dell’NBA quando ancora era minorenne.

È andato via a 25 anni con un sogno nel cassetto ed è tornato a 29 per mantenere la promessa fatta al suo popolo.

A Cleveland trova una squadra profondamente cambiata, che può contare su un ottimo rimbalzista quale Tristan Thompson e soprattutto, sul funambolico Kyrie Irving.

All’improvviso, dopo non aver più centrato i playoff da quando LeBron è andato via, i Cavs si ritrovano fra le favorite al titolo.

Il Re è consapevole che a Miami avrebbe più possibilità di vincere, ma regalare alla sua città il primo titolo della loro storia non ha prezzo.

Va subito vicino all’impresa, trascinando i suoi Cavs fino alle finals contro la stella nascente della lega, i Golden State Warriors e riuscendo a portarsi avanti 2-1. Qui subentra il genio, Steve Kerr che inserisce Iguodala in quintetto e la musica cambia. Golden State ribalta la serie con tre vittorie consecutive e conquista il titolo. Per LeBron è la seconda sconfitta consecutiva alle finals.

Nel 2015 Bron gioca forse la miglior serie finale, ma nelle 6 gare Golden State si dimostra superiore.

Ogni disfatta lo spinge a fare ancora meglio, a migliorarsi giorno dopo giorno. L’anno dopo, potrebbe essere quello buono.

Arrivano alle finals dopo aver battuto Detroit, Atlanta e Toronto, ma nonostante due sole sconfitte, i favoriti non sono loro. Di là ci sono i soliti Golden State Warriors, come un anno prima, ma stavolta sono reduci da 73 vittorie e Steph Curry è stato eletto MVP, per la prima volta nella storia all’unanimità.

Fare l’impresa non è difficile, è quasi impossibile. Le prime due gare vanno ai GSW, in gara 3 LeBron riapre tutto, ma Gara 4 è dominata da Curry.

La storia, apparentemente già scritta, viene stravolta alla vigilia di Gara 5: Draymond Green, il vero ago della bilancia del sistema Golden State è stato squalificato per una partita dopo l’ennesimo fallo tecnico.

Senza il proprio leader carismatico, nonché diretto marcatore di LeBron, i Cavs sbancano la Oracle Arena. È un vero e proprio show del Re che insieme a Irving combina 82 punti su 112 totali. Cleveland prende fiducia, capisce che l’impresa è possibile, basta una vittoria davanti al proprio pubblico per giocarsi il tutto per tutto in Gara 7.

41 LeBron, 41 Irving. Serie riaperta.

Nonostante il rientro di Draymond Green, The Chosen One sforna una delle prestazioni più dominanti della storia. Ne mette altri 41, con 11 assist e 8 rimbalzi. Nessuno può fermarlo, ormai vuol scrivere la storia.

Impresa del Re: si va a Gara 7.

Gara 7, che comunque vada a finire è già una gara storica, diventa la partita del secolo. Da una parte, la possibilità che i Cleveland Cavaliers vincano il loro primo titolo, dall’altra l’anello dopo le 73 vittorie dei Golden State Warriors.

È una gara di nervi, di inerzia, pochi canestri, tanti errori. Sull’89 pari, a poco più di 100 secondi dalla fine, arriva la giocata del secolo. Golden State riparte in contropiede, la difesa è scoperta, Iguodala corre fino a metà campo, si libera del pallone, prende velocità, Curry gliela rende appena dentro l’area e Iggy vola a canestro, sennonché….da dietro arriva una mano che stampa il pallone sul vetro. È LeBron, con un gesto atletico straordinario, dopo essersi fatto trenta metri in quattro secondi, inchioda la stoppata della vita ai danni del povero Iguodala, incredulo.

Dal nulla, spunta LeBron e stampa il pallone sul vetro. È The Block, la più iconica stoppata nella storia della pallacanestro.

Dopo un altro minuto senza che nessuno riesca a fare canestro, Tyronn Lue chiama un time out per disegnare una rimessa cruciale.

Lo schema è semplice: Kevin Love in angolo a sinistra e poi a rimbalzo, Richard Jefferson in angolo destra e poi a sinistra, Jr Smith in lunetta per portare il blocco, LeBron batte la rimessa e si mette al posto di Jefferson, Irving si gioca il possesso in isolamento. Palla a Kyrie marcato, ovviamente, da Klay Thompson. Sale Jr Smith, porta il blocco e Golden State accetta il cambio. Curry va su Irving, che lo sfida lentamente in palleggio. La passa sotto le gambe una, due, tre volte, poi all’improvviso accelera il palleggio, step back e tripla fulminante.

Tripla impossibile a un minuto dal termine. Semplicemente Kyrie Irving.

Golden State ha subito il KO tecnico. Curry ci prova con una tripla impossibile che ovviamente non va dentro e a rimbalzo LeBron vola in testa ad Harrison Barnes. Riparte Cleveland in contropiede, Irving contro tutti, che prima perde palla e poi la recupera con un mezzo miracolo, scaricandola verso Kevin Love che con calma olimpica la mette nella cassaforte numero 23.

Golden State ovviamente commette fallo e Cleveland prende tempo. Rimessa nella propria metà campo, Irving di nuovo contro tutti. Attacca Klay Thompson, con non so quali forze. A testa bassa si fa tutto il campo, arriva praticamente alla linea di fondo e alza un lob per l’accorrente LeBron che prova a schiacciare con tutta la forza che ha in corpo, ma viene steso da Draymond Green. Il Re mette la firma sul capolavoro.

“Cleveland, this is for you!” Dirà LeBron a fine partita, in lacrime.

This is for you.

Il ragazzo di Akron, cresciuto senza un padre e costretto ai salti mortali per sfuggire al ghetto, ha portato la sua città sul tetto del mondo.

Prima di andare a Miami aveva promesso che un giorno tornato per regalare alla sua città quel titolo che brama da quasi cinquant’anni.

Ci riproverà sia l’anno dopo, che quello ancora successivo, ma i Golden State Warriors hanno preso Kevin Durant, diventando invincibili.

A nulla servirà il LeBron più dominante di sempre, quello capace di distruggere i Celtics in 7 gare e di farne 51 contro QUELLA versione degli Warriors nella leggendaria Gara 1.

7 gare di follia, ma alla fine Boston si arrende a The Chosen One.

I Cavs vinceranno una sola partita in due anni di Finals e LeBron sente di nuovo bisogno di cambiare aria, rifiutando 35 milioni pur di andare free agent.

Destinazione Hollywood

Nella prima notte della Free Agency, il telefono di LeBron squilla all’improvviso.

Non è un facoltoso imprenditore alla ricerca di un uomo immagine per la sua franchigia, è il più grande Laker di tutti i tempi, Magic Johnson, stavolta nelle vesti di presidente della franchigia.

Mette sul piatto un contratto da 154 milioni in 4 anni, con la promessa di vincere più titoli possibili. Il Re non ci pensa due volte, appena ha finito la vacanza in Costiera Amalfitana, volerà in California per firmare coi Lakers, la franchigia più glamour d’America.

Media Day 2018: il nuovo LeBron gialloviola si presenta alla stampa.

Lo attende una squadra giovane ma talentuosa che potrebbe diventare una contender a sorpresa.

Dopo due mesi di puro divertimento, nella partita di Natale LeBron sente dolore all’inguine. È l’inizio della fine dei Lakers che tanto avevano divertito nelle fasi iniziali della stagione: nei mesi successivi perderanno anche Rondo, Ingram e Lonzo Ball.

Il Re sta fuori un mese, ma quando rientra le speranze di tornare ai playoff sono veramente ai minimi storici. A dare il colpo di grazia alla stagione sono le 14 sconfitte in 20 partite fra febbraio e marzo.

I Lakers non vanno in postseason, ma per tutta la stagione, si rincorrono le voci di una trade che porterebbe Anthony Davis da New Orleans a Los Angeles, per comporre una coppia da titolo insieme al Prescelto.

Scambio che si farà, ma soltanto in estate.

A New Orleans vanno Lonzo Ball, Brandon Ingram, Josh Hart e DeAndre Hunter, più diverse scelte al draft, ai Lakers Anthony Davis, uno dei lunghi più forti della lega, ma col fisico di cristallo.

La stagione del riscatto è la più travagliata della storia, quella della bolla anti covid, organizzata al Walt Disney World Resort di Lake Buena Vista.

L’intesa tra Davis e il Re è spaventosa, sembrano compagni da una vita, e insieme dominano sia la regular season, interrotta a Marzo e ricominciata ad Agosto, che i playoff estivi nella bolla.

Alle Finals, in una AdventHealth Arena blindatissima, LeBron ritrova i suoi Miami Heat, guidati sempre da Coach Spoelstra, l’uomo che insegnò al Re sia come si vince che come si perde.

Gli Heat sono forti, giovani, giocano bene e si difendono forte, ma contro LeBron e la sua fame di vittoria non c’è storia.

L’11 Ottobre 2020, precisamente sette mesi dopo la chiusura della lega, il Re torna sul suo trono per la quarta volta con tre maglie diverse. Nessuno come lui.

L’infinita stagione 2019-2020 si chiude nel migliore dei modi. LeBron trascina i Lakers al diciassettesimo titolo.

Quarto anello, quarto MVP delle finals.

Per confermarsi campioni con un Anthony Davis bloccato dagli infortuni, LeBron è chiamato agli straordinari durante tutta la regular season. C’è chi, addirittura, gli darebbe l’MVP otto anni dopo l’ultima volta.

Proprio sul più bello, il 20 Marzo 2021 contro Atlanta, si spengono i sogni di gloria di repeat.

Ad inizio secondo quarto, LeBron punta Rondo dal palleggio, Harrell gli porta il blocco e Solomon Hill lo prende sul cambio. Mentre viene raddoppiato da Capela, Hill gli tocca la palla e gli frana sulla caviglia destra che si muove in maniera innaturale. Non ci sono, per fortuna, danni strutturali, ma c’è una brutta distorsione ai legamenti della parte alta della caviglia.

La caviglia cede proprio sul più bello. Addio sogni di gliria.

È l’infortunio più grave della sua carriera, addirittura peggiore di quello di Natale che gli ha precluso i playoff due anni prima.

Il Re resta fuori più di un mese e i Lakers, senza i due pilastri, crollano in zona play-in.

LeBron, nonostante non sia ancora al 100%, decide di tornare per salvare i suoi uomini dal baratro, riuscendo a conquistare prima un posto ai play-in, poi, dopo aver battuto i Golden State Warriors grazie ad una sua tripla impossibile, agguantano i playoff.

Playoff che però, durano appena 6 partite. LeBron James, al diciottesimo anno nella lega, per la prima volta esce al primo turno dei playoff.

La sconfitta al primo turno ha con sé diverse attenuanti, una su tutte l’infortunio di AD in gara 4, che lo tiene fuori per tutta gara 5 e nonostante provi a stringere i denti, anche per gara 6. Lo stesso LeBron non è al meglio, prova a tenera a galla i suoi, ma da solo è veramente dura. Phoenix si porta sul 3-2 e due giorni dopo chiude i conti allo Staples Center con un Booker da 47 punti. Il malumore cresce e la dirigenza inizia ad esplorare delle trade che riescano a migliorare il roster.

Il primo nome è DeMar DeRozan, in uscita da San Antonio, che tornerebbe volentieri nella sua Los Angeles quindici anni dopo aver lasciato il college. Sul taccuino di Pelinka c’è anche Damian Lillard, che però non ha intenzione di andarsene da Portland, nonostante una cena a base di piatti e vini rigorosamente italiani, organizzata da LeBron e AD proprio per convincere Dame a unirsi a loro.

Alla fine fra tutti i nomi emerge quello di Buddy Hield, il miglior tiratore della lega dopo Steph.

Alle 23:02 del 29 Luglio 2021 Adrian Wojnarowski annuncia la trade in arrivo: a Sacramento vanno Kyle Kuzma e Montrezl Harrell, a L.A arriva Buddy Hield.

Tutto fatto, sennonché… Ventitré minuti dopo, un clamoroso colpo di scena. Niente più Hield, bensì Russell Westbrook, in cambio di Kuzma, Harrell, Kentavious Caldwell Pope e la first round pick del 2021. Russ arriva ai Lakers con un contratto pesantissimo ma con l’obiettivo di dominare la lega e inseguire quel sogno chiamato anello che tutti hanno nel cassetto.

Esperimento super team. Russ torna nella sua Los Angeles per vincere, ma non è tutto oro quel che luccica.

Il risultato non è quello sperato: AD è perennemente in infermeria e la convivenza tra il numero 6 e Westbrook è più difficile del previsto. Il front office pensa che la stagione possa sbloccarsi da un momento all’altro e prendere la piega giusta, ma il tanto atteso salto di qualità non arriva mai. I Los Angeles Lakers chiudono all’undicesimo posto a Ovest con 33 vittorie e 49 sconfitte, senza nemmeno sfiorare i play-in. Oltre al danno, pure la beffa: la lottery assegna loro la scelta numero 8 al draft, ma in virtù della trade che ha portato Anthony Davis a Los Angeles, quella scelta va ai Pelicans.

Il ventesimo anno del Re, con tutta probabilità, vedrà cadere l’ultimo record ancora in piedi, quello apparentemente imbattibile, che resiste da quasi 40 anni. I 38387 punti di Kareem Abdul Jabbar sono lì, ad un passo, pronti per essere superati già in primavera.

Nessuno, prima di lui, aveva segnato così tanto alla stagione numero 20. Nonostante quel chilometraggio, le quasi 1400 partite giocate e gli oltre 50mila minuti passati sul parquet, i suoi numeri parlano chiaro: 27.4 punti, 8.2 rimbalzi, 6.7 assist. Non c’è bisogno di scomodare i testi sacri, a quell’età nessuno ha mai messo su dei numeri del genere, nemmeno il fu Lew Alcindor, che a 38 anni vinse l’MVP delle Finals. D’altronde, si sa, l’età è solo un numero.

L’allievo, Paolo Banchero, contro il Re, al ventesimo anno da protagonista.

38 anni fa, al Summa Akron City Hospital nasceva LeBron Raymone James, il più grande, forse, di sempre.

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