Giuseppe Bergomi,detto Beppe,nasce a Settala,un piccolo comune situato nella Pianura Padana.
Duttilità,serietà e spirito di sacrificio:queste sono le 3 cose che hanno fatto dello “zio” uno dei difensori migliori della sua generazione.
Ha indossato sempre i colori neroazzurri,per ben 20 anni,portando orgogliosamente al braccio la fascia da capitano dal 1992 fino al 1999.
La sua carriera non inizia nel migliore dei modi,quando viene scartato per ben due volte dal Milan,a causa di un problema al sangue.
Non si da per vinto e pochi anni dopo entra a far parte delle giovanili dell’Inter. Da lì,non esisteranno altra bandiera e altri colori per Bergomi.
Eugenio Bersellini,che dirà:”Un ragazzo come lui,di quella specie,non l’ho mai più allenato”,decide di farlo esordire a 16 anni e un mese,diventando il più giovane di sempre ad esordire con la maglia dell’Inter,in una partita terminata 0-0 contro la Juventus.
“È un’atleta capace,nel suo ruolo,di coprire qualsiasi schema,così come di giocare contro qualsiasi avversario” dichiarerà Enzo Bearzot,Ct della nazionale campione del mondo ’82.
Insomma,Beppe aveva stregato tutti,per la sua professionalità mista alla sua leadership in campo,anche se in età precoce.
“Stavamo vincendo 2-1,ad un certo punto Collovati si fa male,ed il ct si dirà verso di me”
È da lì che inizia il mondiale di Bergomi,in un modo completamente inaspettato.
Ma Beppe,che nella sua carriera dimostrerà sempre professionalità e attaccamento alla maglia,si fa trovare pronto. Aveva appena compiuto 18 anni e tutto avevano iniziato, ironicamente a chiamarlo “Zio”
“Come un una canzone di De Gregori, Bill portava due baffi da uomo e allora tutti mi chiamavano Zio per sfottermi”.
Era quella, un’occasione di riscatto per l’Italia intera,dopo gli anni di piombo e la crisi profonda,e Bergomi lo sapeva.
“Contro il Brasile non avevamo scampo,e invece…” continuando: “Entrai sul 2-1 e le gambe mi tremavano,in porta c’era Zoff,lo guardavano e pensavo:potrebbe essere mio padre,ha quarant’anni e io 18”.
In semifinale è proprio lo zio a partire del primo,data la squalifica di Gentile. 2-0 secco e finale contro i tedeschi.
Pensava di vedersela dalla panchina,ed invece ancora una volta Bearzot voleva affidarsi a lui,a quel diciottenne ormai uomo,e non solo per i baffi.
Ormai avevano capito di farcela,come disse stesso Bergomi:”Eravamo sicuri di vincere”
E così sarà, diventerà campione del mondo a soli 18 anni.
Sarà annoverato da Marco Van Basten come uno dei più difficili da superare,dato il suo fisico robusto ma che comunque non precludeva una buona tecnica palla al piede e un buonissimo gioco aereo.
Esordisce in A il 22 febbraio 1981,a 17 anni,per poi continuare la sua scalata negli anni a venire.
Lo stesso Bearzot,l’anno dopo, convocò in extremis il ragazzo di Settala,per il campionato del mondo ’82.
Gli anni successivi furono altalenanti dalle parti di Appiano,con l’addio del Trap e la salvezza conquistata solo alla penultima giornata nel 1994,nonostante la vittoria della Coppa UEFA.
Bergomi,che oramai era diventato capitano a tutti gli effetti,rimase il perno della squadra,che venne completamente ricostruita. Tutti attorno allo Zio,ormai faro e luce della squadra.
Tra il 1996 ed il 1998 torna ad essere competitiva,grazie a Roy Hodgson,con il terzo posto in A e una finale di Coppa UEFA persa solo ai rigori in finale.
L’anno successivo,per Bergomi avviene una piccola svolta.
L’allenatore non è più Hodgson,ma Luigi Simoni,che gli chiede di cambiare il suo modo di giocare:passare da terzino(ruolo ricoperto fino ad allora) a libero.
Per Bergomi non fa una piega e ripaga l’allenatore con prestazioni convincenti.
Raggiunge 750 gare un nerazzurro,e,ormai non più capitano e la fascia ceduta a Ronaldo,decide di smettere. Non rientra più nei piani di Marcello Lippi,ed il 23 maggio 1999,con un 3-1 sul Bologna,dice addio al calcio giocato.



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