Da sempre circuito in cui si decidono le sorti del mondiale, anche nell’anno 1989 Suzuka non si è smentito.
Era un’altra epoca, un’altra formula uno: basti pensare che le macchine degli anni novanta possono essere paragonate alle attuali monoposto di F2, ma nonostante ciò questo gran premio è rimasto e rimarrà impresso nella memoria degli appassionati.
Il mondiale si decideva proprio sul tracciato giapponese, e si capì sin da subito, dalla tensione in griglia di partenza, dal silenzio surreale quasi rumoroso del pubblico, che sarebbe stato un giorno passato alla storia.

IL PRE-GARA
McLaren contro McLaren. Ayrton Senna contro Alain Prost. Come sempre. Quella volta c’era una differenza: a comandare la classifica generale era il francese con 16 punti in più del rivale brasiliano (con l’assegnazione dei punti alla vecchia maniera ). L’unica possibilità per Senna di allungare di una gara il mondiale e portarlo in Australia, era tagliare il traguardo per primo. In altre parole, Senna era obbligato a vincere.
In quella stagione, il brasiliano aveva accusato più problemi del normale: la sua macchina aveva costantemente problemi al motore, ai quali si aggiungeva l’eccessivo consumo di benzina. Problemi che risultarono fondati: infatti, una volta che il compagno di box si avvicinò in classifica, la macchina tornò ad essere normale. Coincidenze?

IL SABATO E LA QUIETE PRIMA DELLA TEMPESTA
Nel team di Woking, però, i due piloti non erano visti in maniera equa da quando il francese aveva annunciato il suo passaggio in Ferrari per la stagione successiva. Sarebbe stata l’ultima volta che i due fenomeni avrebbero corso facendo parte dello stesso team. Le ultime due gare, con un mondiale ancora tutto da decidere. Vincere avrebbe significato avere la meglio sull’altro sia dal punto di vista della pista ma anche e soprattutto dal punto di vista psicologico.
Il sabato si colorò di tinta brasiliana con Senna che rifilò un secondo e sette decimi al francese. Ma le gare ed i punti si prendono alla domenica.
Senna scatta male, oramai un’abitudine, ed il compagno di scuderia lo passa subito alla prima curva, e riesce a mettere un distacco di 2 secondi tra la sua e l’altra McLaren per tutto il gran premio. Sembrava già fatta, il francese già assaporava quello che sarebbe stato lo champagne più dolce della sua carriera. Ma qualcosa non andò secondo i piani…

IL MOMENTO DECISIVO
Tutto cambiò con i pit stop: Senna rimase in pista più giri del francese, e seppur non riuscì a passarlo, si avvicinò di moltissimo grazie anche ai doppiaggi, nei quali Ayrton non perse nulla in termini di tempo, mentre Prost fece più fatica.
Il giro 46 fu quello della svolta. Le due macchine sono incollate. Tornantino e Spoon a pochissimi centimetri di distanza. 130R a full gas. Prost sembra scappare davanti, e proprio quando stava per girare il volante e prepararsi all’entrata della chicane, vede l’altra McLaren affiancarlo. Ormai è troppo tardi: Prost e Senna si scontrano. Il francese uscì subito dalla monoposto mentre il brasiliano fece cenni plateali per chiedere ai commissari di essere spinto.
Così facendo Senna rientrò in gara.
In cinque giri, Senna tornò ai box per cambiare l’ala della vettura e a recuperare il distacco di cinque secondi che lo separava da Nannini, leader del gran premio. Vinse la gara ma gli fu impedito di salire sul podio e venne squalificato per essersi fatto aiutare dai commissari a rientrare in pista. Il titolo mondiale era del suo avversario, del suo rivale numero uno.

Ancora oggi non si sa con certezza di chi sia la colpa e la critica si è sostanzialmente divisa a metà: i sostenitori del brasiliano sostengono che Prost abbia chiuso la curva con troppo anticipo non lasciando spazio per un eventuale attacco ed inoltre sostengono che Senna si è fatto aiutare perchè in una posizione pericolosa del circuito; dall’altro lato, i sostenitori del francese difendono l’idea che Prost era troppo davanti per poter pensare ad un attacco e che il motore di Senna era effettivamente spento e per ripartire avrebbe necessariamente dovuto chiedere l’aiuto ai commissari.
L’enigma più irrisolto della Formula Uno non ha ancora una soluzione

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