Correva il giorno 11 Ottobre 2020 – I Lakers tornano campioni

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Non si era mai vista una stagione così.

In oltre 70 anni di storia, di annate pirotecniche ce ne sono state a decine, ma mai come il 2019-2020.

La stagione 19-20 della National Basketball Association è la più strana ed incredibile di sempre.

Facciamo un passo indietro.

22 Ottobre 2019.

Come ogni anno, si aprono le porte della nuova stagione della National Basketball Association.

Ai blocchi di partenza i super favoriti sono i Los Angeles Lakers, vincitori indiscussi della offseason. Al già presente LeBron, è stato affiancato Anthony Davis, uno dei lunghi più dominanti della lega, arrivato a L.A dopo un anno di trattative.

Appena dietro i Lakers ci sono, in ordine sparso, gli Houston Rockets, guidati dalla coppia MVP Westbrook-Harden, i Denver Nuggets del futuro MVP Nikola Jokic e Jamal Murray, e infine i Los Angeles Clippers, che possono vantare la miglior coppia difensiva della lega, cioè Kawhi Leonard e Paul George.

Dall’altra parte dell’America gli evergreen Boston Celtics si giocano la vetta insieme ai Milwaukee Bucks, guidati da The Greek Freak, MVP in carica (che farà il bis). Gli Underdog della lega sono i Miami Heat, comandati da Jimmy Butler e Bam Adebayo, forti ma non fortissimi e, apparentemente un passo indietro rispetto agli altri.

I primi mesi di RS scorrono abbastanza rapidamente, ma durante una fase centrale come al solito poco spettacolare, arriva il primo colpo di scena. Il 1 Gennaio, ci lascia David Stern, il commissioner che ha reso grande l’NBA. L’uomo che ha preso in mano una NBA senza soldi e devastata dalla cocaina e l’ha resa un fenomeno globale, aiutato dalla coesistenza di Magic e Larry e poi dall’arrivo di Michael Jordan.

Il 2020 si apre malissimo: ci lascia David Stern, pietra miliare della NBA.

Ma i drammi non sono finiti.

Nella mattina del 26 Gennaio 2020 un elicottero si schianta sulle colline di Calabasas, nella contea di Los Angeles. A bordo ci sono Kobe Bryant, la figlia Gianna e altre sette persone. Muoiono tutti.

In un attimo la notizia fa il giro del mondo.

Meno di 12 ore prima, LeBron lo aveva superato al terzo posto nella classifica dei migliori marcatori All-Time. Non erano mancati i complimenti via Twitter del Black Mamba, in quello che resta ormai il suo ultimo tweet.

Un mese dopo, in uno Staples Center stracolmo, migliaia di celebrità si sono riunite per dare l’ultimo saluto a Kobe, in quella che per vent’anni è stata la sua casa.

Lo Staples pieno come non mai, per salutare il suo Black Mamba.

È il 24 Febbraio 2020 e nessun essere vivente, tanto meno un americano, può immaginare cosa succederà di lì a due settimane.

Nella prima settimana di Marzo, a macchia d’olio, si diffonde un nuovo virus in tutto il mondo. Non fa sconti a nessuno, tanto meno alla NBA.

Il 12 Marzo, alla vigilia di Utah Jazz-Oklahoma City Thunder, il COVID si affaccia in NBA.

Dopo una conferenza stampa (a dir poco ridicola, perdonatemi) in cui ha toccato ogni microfono presente, Rudy Gobert risulta positivo. È il primo caso confermato. A seguire tocca a Donovan Mitchell, compagno di squadra di Gobert. E chissà quanti altri.

Per la categoria scherzi di cattivo gusto: Rudy Gobert porta il COVID in NBA

Scatta l’emergenza. Adam Silver, al suo sesto anno da commissioner, sospende immediatamente tutte le partite. Inizialmente per 30 giorni, ovviamente prorogabili.

Passano 30 giorni e l’emergenza non accena minimamente a finire, anzi siamo nel momento più critico.

Intanto, mentre tutto il mondo si ferma, i piani alti della NBA si ingegnano per trovare un modo per ripartire, quando la situazione migliorerà.

La volontà di finire la stagione c’è, ma non si ha idea di come fare.

Dopo 97 giorni, ecco il colpo di scena.

La Bolla di Orlando

Un dossier di oltre 100 pagine viene rilasciato dai vertici della lega, al suo interno ci sono, spiegate in maniera estremamente dettagliata, le modalità di ripresa della NBA.

Nel mentre, un paese ancora scosso dal lockdown viene travolto da un’onda di proteste contro le discriminazioni razziali, a seguito del brutale omicidio di George Floyd. Guidati dal movimento Black Lives Matter, gli afroamericani scendono in ogni via e piazza d’America per far sentire la loro voce.

Si riparte il 31 Luglio a Lake Buena Vista, Orlando, all’interno di Dinsey World, con un protocollo rigidissimo e studiato nei minimi particolari affinché tutto fili liscio. Una macchina salva campionato, anti contagio e, ovviamente, creata per sopperire alle enormi perdite di denaro che altrimenti avrebbe subito la lega.

La cittadella sportiva dentro il parco Disney di Orlando

Dislocate in quattro hotel dentro il parco le 22 squadre che hanno la possibilità di accedere ai playoff giocheranno 8 partite a testa per stabilire l’ordine di arrivo.

Una volta decisa la classifica, le migliori 16 si giocano il titolo, che dovrà essere consegnato entro e non oltre il 12 Ottobre.

Se, prima della sospensione, in molti si erano fatti un’idea su chi potesse arrivare fino in fondo e chi, invece, si sarebbe fermato prima, con la creazione della Bolla di Orlando e del protocollo che la regola, ogni pronostico è ribaltabile.

I Lakers, dominatori della prima parte di stagione, si confermano la squadra da battere. LeBron è la mente, Anthony Davis il braccio. Intorno alle due superstar, una banda di working class hero come Alex Caruso e Kentavius Caldwell-Pope e soprattutto, due veteranissimi pescati dal dimenticatoio che più di una volta si sono rivelati decisivi: Rajon Rondo e Dwight Howard.

Il 17 Agosto, in piena estate, cominciano i playoff.

Da una parte, rappresentanti della Eastern Conference, ci sono, in ordine:

Milwaukee Bucks, Toronto Raptors, Boston Celtics, Indiana Pacers, Miami Heat, Philadelphia 76ers, Brooklyn Nets e, sorpresa delle sorprese, Orlando Magic.

Dall’altra parte, il verdetto della Western Conference dice: Lakers al primo posto, seguiti dai cugini, i Los Angeles Clippers, completano il podio i Denver Nuggets. Quarti ci sono gli Houston Rockets, quinti gli Oklahoma City Thunder. Chiudono la conference gli Utah Jazz, i Dallas Mavericks e i Portland Trail Blazers, guidati da un meraviglioso Damian Lillard, eletto MVP della bolla.

I playoff, per la prima volta giocati in estate, si aprono con due belle sorprese. Entrambe le capoliste debuttano contro il fanalino di coda delle rispettive conference e perdono.

I Milwaukee Bucks perdono 110-122 contro gli Orlando Magic, mentre i Lakers perdono di soli 7 punti contro un grandissimo Damian Lillard.

Un fenomenale Damian Lillard trascina i suoi alla vittoria contro i favoriti al titolo

Per entrambi è soltanto un piccolo incidente di percorso, tant’è che vinceranno le succesive 4 gare.

Senza dilungarci troppo, passiamo al secondo turno. Ad Ovest Lakers si beccano gli Houston Rockets, i Clippers invece devono affrontare i Denver Nuggets. Ad Est i Milwaukee Bucks si scontrano con i Miami Heat e i Boston Celtics sfidano i campioni in carica, i Toronto Raptors.

Ancora una volta, i Lakers steccano la prima.

Colpiti dai velocissimi e pirotecnici Houston Rockets di Mike D’Antoni, LeBron & co si beccano un trentello abbondante di Harden.

I 36 punti del Barba, i 24 di Russell Westbrook e i 23 di Eric Gordon permettono ai texani di passare sui Lakers, almeno in Gara 1.

Quella Gara 1 rimane, a distanza di due anni, l’ultima vittoria di D’Antoni in qualità di Head Coach. Nelle successive 4 gare non c’è storia: il Re e AD fanno la voce grossa. Harden è battuto, Westbrook umiliato. I Lakers passano agevolmente, l’esperimento Rockets è fallito.

L’esperimento Westbrook-Harden naufraga in una sola stagione

Sull’altra costa, l’uragano Giannis reduce da una stagione da 29+13 e meritatamente eletto MVP, viene annullato completamente dai Miami Heat.

La Heat Culture annienta con un sonoro 4-1 i favoriti al trono dell’Est grazie ad una difesa asfissiante, ai rimbalzi di Bam Adebayo e all’esplosione del giovanissimo Tyler Herro.

Senza una vera e propria stella (Jimmy Butler era considerato un ottimo giocatore ma non decisivo come lo è oggi) Spoelstra ha saputo ribaltare la situazione a suo favore, mettendo la museruola a Giannis architettando un sistema perfetto.

Miami avanza e non vuole più fermarsi.

Torniamo (metaforicamente) in quel di Los Angeles.

Archiviata la pratica Houston, è tempo di pensare ai Denver Nuggets.

Per la franchigia del colorado si tratta del primo ritorno ad alti livelli dal post Carmelo Anthony.

Guidati dal nuovo che avanza, i Nuggets giocano una bella pallacanestro che fa capo a Nikola Jokic, ma di lá c’è il Re.

Dopo due turni giocati praticamente in ciabatte, LBJ & AD alzano le marce.

Gara 1 va comodamente ai Lakers : Davis 37+10 rimbalzi Bron 15+12 assist

Gara 2 è decisamente più combattuta, Denver va ad un passo dal colpaccio, ma Anthony Davis, che non è d’accordo, a due secondi dalla sirena spara una triplona in faccia a Jokic e la vince.

Un incredibile buzzer beater di AD consegna Gara 2 ai Lakers, vestiti con la speciale “Mamba Jersey”

Gara 3 invece va a Denver, grazie ad un’incredibile prova di squadra: Jokic 22, Murray 28 e Jerami Grant 26.

Una piccola battuta d’arresto che non ha ripercussioni sui gialloviola, perché due giorni dopo fanno la voce grossa. La difesa dei Nuggets non può fermare la furia dei numero 3 e 23, e quindi ricorre sistematicamente al fallo.

Il Re e AD vanno tantissimo in lunetta e segnano 24 volte su 28. Metteteci qualche canestro dal campo qua e là e fanno 34 per The Brow e 26 per The Chosen One.

Dopo aver lasciato la scena al suo compagno per gran parte della serie, Bron decide di prendersi il palcoscenico per chiudere definitivamente la serie playoff.

Dopo 40 minuti tondi tondi il tabellino recita: 38 punti, 16 rimbalzi, 10 assist.

È di nuovo Finals, due anni dopo quell’incredibile serie contro gli ingiocabili Golden State Warriors, il Re torna in finale.

Dieci anni dopo, i Lakers tornano a giocarsi il titolo, col Mamba non più in campo ma nei cuori e nella mente di tutti.

A sfidare i gialloviola ci sono i Miami Heat, che sul più bello spengono i sogni di gloria dei Boston Celtics.

I Miami Heat trionfano ad Est, strappando la vittoria in 6 gare a Boston

Diciamo la verità, tutta la lega sperava in un altro capitolo della più grande rivalità della palla a spicchi. In un momento storico piuttosto difficile e in un luogo molto particolare, l’appuntamento numero 13 fra Boston e Lakers avrebbe portato un vento di normalità che avrebbe messo da parte ogni problema. Ma gli Heat fanno la voce grossa, partendo ancora una volta da sfavoriti e per la prima volta dall’era dei Big Three la Heat Culture si gioca l’anello.

Le Finals

Si comincia il 30 Settembre alla AdventHealth Arena, il palazzo principale dell’ESPN Wide World of Sports Complex, la cittadella sportiva dentro il Walt Disney World Resort di Lake Buena Vista.

Gara 1 – Come da copione

Alle 21, ora di Orlando, la palla a due.

LeBron James, Kentavious Caldwell-Pope, Danny Green, Anthony Davis e Dwight Howard contro Goran Dragić, Duncan Robinson, Jimmy Butler, Jae Crowder e Bam Adebayo.

Per buona parte del primo tempo le due squadre si studiano, imparano a conoscersi, cercano i punti deboli. A metà del secondo quarto arriva la prima, seria, spallata al match.

Dopo due triple consecutive di Tyler Herro, i LAL mettono la muserola all’attacco Heat. In 7 minuti chiudono un mega parziale di 21 a 5. All’intervallo è +17 per i ragazzi di Frank Vogel.

Fra secondo e terzo quarto, due sventure si abbattono su Miami: prima Goran Dragic abbandona il campo dopo un contatto con Rondo, poi Adebayo si fa male ad una spalla.

Battere i Lakers è difficile, farlo senza due giocatori fondamentali è praticamente impossibile.

Brillano due stelle in quel di Orlando

Gara 1, come da copione, va ai gialloviola abbastanza comodamente. 25+13+9 per LeBron, 34+9+5 per AD.

Gara 2 – Dominio

48 ore dopo, solito palazzo, solita ora, Gara 2.

Stavolta, non c’è equilibrio. I californiani prendono le redini del match dopo nemmeno 5 minuti e non le mollano fino al quarantottesimo. Senza Adebayo e Dragic, Miami trova in uno stoico Kelly Olynyk l’unico appiglio, che non si chiami Jimmy Butler, ad una partita mai in discussione. Il lungo ucraino gioca 37 minuti di grande intensità e nonostante le sportellate di Anthony Davis, segna 24 punti con 9 rimbalzi.

Di là, però, c’è un uomo in stato di grazia. Anche se i due migliori tiratori, KCP e Danny Green sparano a salve tirando 3/19 da oltre l’arco, a far impazzire la difesa di Spoelstra è Rajon Rondo.

Difficile da gestire, ma meraviglioso in campo.

Nonostante i mille difetti caratteriali e un’età ormai non più freschissima, Playoff Rondo segna 16 punti e smazza 10 assist. Al resto ci pensano LeBron Raymone James con 33 punti, 9 rimbalzi, 9 assist e Anthony Marshon Davis 32 punti e 14 rimbalzi.

2-0.

Serie molto difficile da riaprire? Si.

Serie già chiusa? No.

Gara 3 – Heat Culture alla riscossa

Passano altre 48 ore e alle 19:30 ora di Orlando, le due squadre si ritrovano di nuovo faccia a faccia per gara 3.

Per Miami è cruciale. Perdere significherebbe consegnare il titolo agli avversari, mentre una vittoria potrebbe rimettere tutto in discussione.

Senza Goran Dragić e Bam Adebayo, la scena se la prende tutta Jimmy Butler.

È la sua notte dei miracoli. Resta in campo per 45 minuti su 48, giocando ad un’intensità spaventosa e dominando su due lati del campo.

Eroico, stoico, leggendario, chiamatelo come volete.

In una NBA in cui si ricorre sempre di più al tiro da 3, Jimmy ne mette 40 senza provarci nemmeno una volta da oltre i famigerati 7 metri e 25.

40 punti, 11 rimbalzi, 13 assist, 2 recuperi, 2 stoppate e ZERO falli.

Miami di puro orgoglio, passa sui Lakers.

È la partita della consacrazione di Jimmy Butler, fino a quel momento considerato soltanto uno scaratterato dalle grandi abilità difensive e poco altro.

Gara 4 – Ad un passo dalla vetta

Alla vigilia di Gara 4, Adebayo stringe i denti.

Probabilmente non è al meglio, ma le Finals sono le Finals.

Al rientro, gioca mezz’ora abbondante e fa registrare 15 punti e 7 rimbalzi, ma anche 4 falli e 3 palle perse. Butler, che non molla mai, nonostante sia visibilmente stanco, trova la forza per sfiorare la tripla doppia, chiudendo a 22+10+9. Miami gioca anche bene, non demerita, gli altri, però, ne perdono una, non due.

Non serve scomodare Vintage Bron, che in quell’incredibile 2012 vinse praticamente tutto, e nemmeno quello, più recente, della straordinaria cavalcata del 2018, chiusa a 34 punti di media contro la squadra più forte di ogni epoca. Il Re tira fuori una prestazione che per molti sarebbe leggendaria, mentre per lui è un’ordinaria giornata in ufficio.

Eterno.

28 punti, 12 rimbalzi, 8 assist in 38 minuti sul parquet. Per AD fate 22 punti con 9 rimbalzi e la vittoria è servita.

L’anello, adesso, è ad un passo.

Gara 5 – Resilienza

La prima occasione per alzare il Larry O’Brien si ha il 9 Ottobre.

Solita ora, solito posto, solite squadre.

Se Gara 3 rappresentava la consacrazione di Jimmy, Gara 5 è la conferma.

Resta in campo dal primo all’ultimo minuto, senza sosta, senza rifiatare un attimo.

Si prende tantissimi tiri, difende alla morte su tutti, vola a rimbalzo e porta palla. Praticamente tranne tirare da 3, Jimmy Butler fa tutto.

Un uomo in missione per conto di Pat Riley ed Erik Spoelstra

Alle triple ci pensa Duncan Robinson, il più improbabile giocatore che si possa vedere alle Finals.

Dichiaratosi eleggibile al draft 2018, nessuno lo sceglie, ma Miami lo porta a giocare la Summer League. Nei 365 giorni che seguono, succede l’impossibile. Prima firma un Two-Way, con la possibilità di giocare in G League e nel mentre assaggiare un po’ di NBA, poi il suo contratto diventa interamente NBA. Un milione di euro garantiti che aumenteranno a 1.4 in caso di permanenza almeno fino a metà stagione.

Si ritaglia il suo spazio in quintetto al fianco di Dragić e Butler, con un solo compito: tirare, tirare, tirare.

E così, dopo una stagione incredibile, il buon Duncan si ritrova protagonista di una gara di finals. Gara 5 è tiratissima, si gioca punto a punto e a fare la differenza sono le sette triple di Duncan Robinson.

Da undrafted a protagonista di Gara 5, che storia quella di Duncan Robinson.

C’è chi di tripla ferisce e chi di tripla perisce. Sono proprio i canestri da 3 a tradire i Lakers.

LeBron ne fa 40 con 13 rimbalzi, ma la panchina spara a salve. Markieff Morris 0 su 2, Kuzma 3 su 10 ma con 0 triple su 4, Rondo 1 su 7 con 0/3 dalla lunga distanza.

La partita è al cardiopalma, Miami è sempre avanti, ma i Lakers sono sempre lì. Si decide agli ultimi possessi e alla fine la spuntano gli Heat.

Danny Green ha la tripla della vittoria, ma finisce corta, Markieff Morris cattura il rimbalzo, cerca di servire AD ma la palla finisce fuori.

È palla Heat, che ovviamente vengono spediti in lunetta col fallo sistematico. Butler segna i punti numero 34 e 35 della sua partita e chiude i conti. Miami vince Gara 5 e si assicura altri due giorni nella bolla di Orlando.

Gara 6 – La Leggenda

Domenica 11 Ottobre 2020, ore 19:30 di Orlando.

Appuntamento con la storia.

Questa è la volta buona.

Nessuno li può fermare, nemmeno la provvidenza.

Non c’è un solo uomo che possa mettersi in mezzo, nemmeno l’ormai stoico Jimmy Butler, che nonostante sia in piena riserva di benzina, non ne vuol sapere di mollare.

I Lakers sono semplicemente più forti, il cuore Heat non basta. L’equilibrio dura non di più di metá primo quarto, poi i gialloviola dilagano.

100 minuti dopo la palla a due, l’arbitro fischia la fine. I Los Angeles Lakers sono campioni NBA per la diciassettesima volta nella loro storia. Eguagliato il record dei rivali di sempre, i Boston Celtics.

LeBron è, ovviamente, eletto MVP, con un ruolino di marcia da 29.8 punti, 11.8 rimbalzi e 8.5 assist in 40 minuti scarsi di utilizzo. AD, che in carriera non era mai andato oltre il secondo turno di playoff, chiude le finals con 25 punti, 10.7 rimbalzi e 3.2 assist, ma soprattutto, 2 stoppate a partita.

Quarto titolo, quarto MVP.

Se 2 stoppate di media vi sembrano poche, pensate che nessun giocatore di Miami è andato oltre 0.8.

Si chiude così la più lunga stagione NBA della storia, col diciassettesimo, storico, titolo dei Los Angeles Lakers. Dieci anni dopo l’ultimo, quello del 2010, firmato dall’eterno Kobe contro i rivali di sempre. A 4 anni dall’impresa coi Cleveland Cavaliers, la lega si inchina nuovamente a LeBron Raymone James.

Lui che era arrivato a Los Angeles con un unico obiettivo: vincere, e farlo nel minor tempo possibile.

Il Prescelto torna Re nell’incredibile bolla di Orlando.

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