Correva il giorno 10 Settembre 2022 – Manu Hall of Famer

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Precisa come un orologio svizzero, anche per quest’anno è arrivato il momento di celebrare i campioni che da oggi avranno il loro nome iscritto nella Naismith Memorial Basketball Hall of Fame di Springfield, Massachusetts.

Un riconoscimento speciale, destinato solo a pochi eletti che hanno fatto la storia della palla a spicchi, contribuendo dal campo, dalle tribune o dalle panchine, a rendere grande questo sport.

La stragrande maggioranza sono statunitensi, ci sono diversi europei, qualche asiatico e anche qualche sudamericano, ma tutti brasiliani.

2022: Manu è un Hall of Famer

Per vedere il primo sudamericano non Verdeoro, si è dovuto aspettare il 2022, quando nell’albo delle glorie, è stato iscritto un nome dal suono latino, in parte spagnolo e in parte italiano: Emanuel David Ginóbili Maccari, per tutti, semplicemente Manu.

Il principio fu Bahía Blanca.

Manu è un uomo della Pampa, un Bahiense.

nasce il 28 Luglio 1977 a Bahía Blanca, nel cuore dell’Argentina, la stessa città di Daniel Bertoni e Lautaro Martinez. È argentino di nascita e di famiglia, ma italiano di origine, più precisamente marchigiano.

In Argentina lo sport nazionale è il calcio, anzi il fútbol, come lo chiamano loro, ma non a Bahía Blanca, tanto meno in famiglia Ginóbili.

A casa, i due fratelli maggiori, Sebastian e Leandro, praticano pallacanestro ad un livello più che discreto, mentre il padre Jorge è allenatore del Bahiense del Norte, la squadra locale, dove Manu muove i primi passi con la palla a spicchi.

Da ragazzo passa le giornate tra il palazzetto locale, dove si allena senza sosta in palestra e al campo, e la tv di casa, che riproduce senza sosta il VHS di Come Fly With Me, per carpire più informazioni tecniche possibili dalle gesta del leggendario Bulls con il 23 sulle spalle.

È magro di fisico, non è altissimo, ma è eccezionalmente esplosivo. Il talento c’è, ma è grezzo, bisogna lavorarci su.

È fantasia, è estro, ma soprattutto, è un mancino.

Dopo il Bahiense del Norte, passa all’Andino de la Rioja, dove rimane un solo anno, facendo intravedere qualità atletiche non comuni, attirando l’attenzione di diversi club, ma senza allontanare del tutto l’ombra della diffidenza nei suoi confronti.

Dopo una stagione passata a La Rioja, torna a Bahía Blanca, all’Estudiantes.

Lì Manu per la prima volta fa vedere realmente chi è.

Il giovane Manu ai tempi dell’Estudiantes, biennio 96-98

Il primo anno è di rodaggio, il secondo da mvp. Segna 23 punti abbondanti ad allacciata di scarpe e vince il titolo di capocannoniere.

E qui arriva, il primo grande salto.

In patria lo conoscono tutti, e il suo nome gira un po’ per tutto il continente, ma aldilà dell’Atlantico sono in pochi a sapere chi è Manu Ginobili.

Il più veloce ad accaparrarsi il giovane argentino è Gaetano Gebbia, uno dei migliori talent scout d’oltreoceano.

La storia di Manu prende una piega strana: da Bahía Blanca vola a Reggio Calabria.

Per lui si aprono le porte della Pallacanestro Viola, in Serie A2 Italiana.

È il 1998 e l’incredibile viaggio di Manu è appena iniziato.

Reggio Calabria

L’impatto del Narigon sulla pallacanestro italiana è devastante. I numeri dicono 17.9 punti, 3 rimbalzi e 1.5 assist in 35 partite. Un concentrato di esplosività mai visto prima, né da quelle parti né in Italia.

Manu non è solo atletismo, è pura fantasia.

Trova sempre linee di penetrazione dove apparentemente non ci sono e riesce a inventare passaggi anche quando lo spazio non c’è. In A2 nessuno riesce a tenerlo in penetrazione e la Viola Reggio Calabria centra una gran bella promozionale in A1.

Nel mentre, si dichiara eleggibile per il draft, pur sapendo di non essere ancora pronto, ma nella speranza che qualcuno creda in lui.

I San Antonio Spurs, freschi di titolo NBA conquistato da Tim Duncan e David Robinson, capitanati dal fenomenale general manager R.C Buford, hanno due pick da spendere. La 29, con cui scelgono il lungo Leon Smith (non una gran scelta) e la 57, con cui pescano proprio Manu Ginobili.

Estate 1999: gli Spurs lo scelgono al draft

Convinti dall’enorme potenziale del ragazzo, lo lasciano maturare in un contesto più adatto a lui, ovvero in Italia.

Resta un altro anno a Reggio Calabria e per poco non sfiora il miracolo. La Viola è la sorpresa del campionato e da neopromossa arriva quasi alle semifinali scudetto, chiudendo quinta la post season.

Manu nella sua più classica penetrazioni, stavolta in maglia Viola Reggio Calabria

A Reggio ha fatto innamorare tutti, ogni squadra vorrebbe averlo in squadra, ma ancora una volta, qualcuno brucia la concorrenza.

È una delle grandi della pallacanestro italiana, la Virtus Bologna, che vuole affiancare la stella Saša Danilović col ragazzo della Pampa.

Bologna, il successo.

Alla Virtus cercavano un secondo violino da affiancare al micidiale Danilović e la prima scelta richiesta da Ettore Messina era Andrea Meneghin, figlio del grande Dino, in uscita da Varese, ma quando tutto sembrava fatto con le V nere, ecco che si inserisce la Fortitudo e riesce a firmare il Menego.

Spiazzati dalla firma a sorpresa dell’obiettivo numero 1 con i rivali di sempre, i dirigenti della Virtus fanno all-in su Manu.

L’atletismo di Ginobili si sposa alla perfezione con la classe sconfinata di Pedrag Saša Danilović, se non che, alla vigilia della prima stagione del terzo millennio, il quattro volte campione d’Italia annuncia il ritiro a soli trent’anni.

Adesso è tutto nelle sue mani.

A Bologna trova Ettore Messina, un coach severo ed esigente, che pone Manu al centro del progetto. L’obiettivo dell’attuale Coach dell’Olimpia è quello di far diventare Ginobili un giocatore totale su due lati del campo, ma senza mai rinunciare alla sua incredibile fantasia.

Ingabbiare l’estro di Manu sarebbe estremamente nocivo sia per lui che per la squadra e Messina sarebbe passato alla storia come l’uomo che ha rovinato uno dei talenti più grossi passati da Bologna.

La stagione 2000-2001 è, senza mezzi termini, la miglior stagione della storia dalla Virtus Pallacanestro Bologna.

Le V Nere, all’epoca marchiate Kinder, vincono 41 delle 46 partite giocate nel Belpaese, vincendo sia il campionato, che la coppa italia.

L’Eurolega segue lo stesso copione, Manu prende la Kinder per mano e la porta alla vittoria segnando oltre 15 punti a partita. Non c’è bisogno di consultare le sacre scritture, l’MVP è proprio Manu Ginobili.

Il grande slam, ovvero campionato, coppa ed Eurolega, firmato Emanuel David Ginóbili Maccari, è un’impresa epica, degna di essere raccontata ai posteri.

Da Bahía Blanca alla Virtus, per vincere.

L’anno dopo la Virtus proverà a replicarlo e nonostante un Ginobili ancora più forte, non arriva oltre le semifinali scudetto, mentre in Eurolega si ferma in finale.

Nel mentre, dalle giovanili, sale in prima squadra un giovane di provincia, cresciuto col mito di Michael Jordan e Kobe Bryant. Viene da San Giovanni in Persiceto, ha un gran tiro da 3. Si chiama Marco Belinelli e in questa storia tornerà più avanti.

Torniamo a Manu, che nel mentre è diventato immarcabile.

Alle devastanti penetrazioni (da buon mancino sempre e solo a sinistra) ha abbinato un tiro sempre più affidabile da distanze sempre più lunghe.

Ma quello che lo rende unico e, al tempo stesso, impossibile da tenere sul perimetro, è quel dannato primo passo. Anche se le difese lo spingono costantemente a destra, lui cambia direzione, va a sinistra e appoggia, più o meno delicatamente, al ferro.

Sai che va a sinistra, ma non puoi fermarlo.

L’Europa inizia ad andargli stretta.

È la stella di una delle squadre più forti del momento, ha vinto tutto ed è stato l’MVP, adesso è il momento di salutare l’Italia, Bologna e la Virtus e di andare a San Antonio.

Lo aspetta una squadra pronta ad aprire un nuovo ciclo, fresca di un nuovo playmaker, chiamato con la ventottesima pick al draft 2001. Si chiama William Anthony Parker, ma per tutti semplicemente Tony.

Ma prima di andare a San Antonio…

Generación Dorada

Fra l’addio alla Virtus e l’approdo in Texas, di mezzo c’è il mondiale, in programma nell’estate del 2002 ad Indianapolis.

La Nazionale Argentina è nel miglior momento della loro storia, hanno una generazione di cestisti incredibile, su tutti il magnifico play Pepe Sanchez, maestro del pick & roll, il big man Luis Scola, artista del post basso e ovviamente Manu Ginobili.

L’alibiceleste distrugge, in ordine, Venezuela, Russia e Nuova Zelanda nella prima fase a gironi, poi la Cina, la Germania e… gli USA.

E proprio contro gli USA, gli americani vedono per la prima volta Manu dal vivo.

È solo il preludio della storica partita di Atene 2004.

Manu trascina i suoi con 15 punti in 24 minuti. All’intervallo gli argentini sono avanti addirittura di 16, poi chiudono sopra di 7.

Eliminata la minaccia peggiore, si punta dritti all’oro, se non fosse che…

Ai quarti battono agilmente il Brasile, mentre in semifinale c’è la Germania del Wunderkind, Dirk Nowitzki.

1vs1 non puoi batterlo. Chiedete ai Brasiliani.

Va tutto bene per l’albiceleste, col solito Manu a fare il diavolo a quattro, fino al dramma.

Salta a canestro come migliaia di altre volte, ma cadendo mette un piede sopra quello di un avversario provocandosi una forte distorsione.

Cala il silenzio, i giocatori in panchina sudano freddissimo e la paura solca i loro volti. El Narigon, l’eroe nazionale che li ha portati fin lì, non può giocare la finale imminente.

Caviglia o non caviglia, Manu non si arrende.

Stringe i denti quando e come può e si presenta a palazzo per la finale.

Di fronte c’è, tanto per cambiare, la Jugoslavia.. o quei che ne rimane, ovvero Serbia e Montenegro, cioè Peja Stojakovic, Vlade Divac e Dejan Bodiroga, colui che pochi mesi prima aveva interrotto i sogni di gloria europei della Virtus.

Contro quel che resta della Jugoslavia Manu parte della panchina e ci resta per ventinove minuti su quaranta. Nonostante l’assenza del suo giocatore migliore, l’Albiceleste a due minuti dalla sirena è avanti 74-68.

Manu entra, ma non sta praticamente in piedi.

Negli ultimi 120 secondi c’è un solo uomo in campo: Dejan Bodiroga. Segna sette punti di fila, porta la squadra ai supplementari e poi la vince. Ginobili resta in campo dodici minuti, ma non segna nemmeno un punto, tirando 0/3 dal campo.

Peja Stojaković e Dejan Bodiroga festeggiano il Mondiale 2002, vinto contro un’Argentina acciaccata

L’Argentina perde la prima partita del mondiale, ma quella sconfitta segna l’inizio di una nuova era..

Alla corte di Pop

Quando Manu approda in Texas, trova una squadra ben organizzata, che si appresta a chiudere un ciclo per aprirne un altro. Nella stagione precedente hanno chiuso la RS con 58 vittorie ma ai playoff sono stati battuti al secondo turno dai Lakers di Kobe-Shaq.

San Antonio però, non è una squadra facile, soprattutto per il coach, un ex spia americana di origine serbo-croata dalla disciplina di ferro. Si chiama Gregg Popovich e, giusto per la cronaca, è ancora lì, a distanza di vent’anni.

Non è proprio la persona più adatta per un genio imprevedibile come Manu, ma ce lo facciamo andar bene lo stesso.

Il genio e il Sergente di ferro.

Al primo allenamento si presenta ancora malconcio, non aveva recuperato al 100% dall’infortunio patito in nazionale. Narra la leggenda che Tim Duncan, già abbondantemente leggenda di quegli Spurs, dopo aver visto Ginobili all’opera al training camp abbia chiesto allo staff tecnico “ma chi avete preso?”

Diciamo che i primi giorni di Manu in Texas, non furono proprio indimenticabili.

Ma piano piano l’infortunio passa, la condizione migliora e gli schemi vengono assorbiti. Durante la stagione si ritaglia una ventina di minuti e, almeno all’inizio, cerca di mettersi in mostra come difensore, ma quando inizia a ballare il tango argentino, l’NBA si accorge che questo ragazzo ha qualcosa in più.

Era impensabile, fino a quel momento, che un argentino venuto dall’europa potesse costantemente penetrare, cambiare direzione e schiacciare prepotentemente in testa al diretto avversario.

A lungo andare il suo estro viene fuori e chiude la stagione in crescendo, sia di minuti che di punti.

San Antonio chiude la stagione con 60 vittorie e, quindi, il fattore campo per tutti i playoff.

In post season affrontano prima i Phoenix Suns del rookie of the year Amar’e Stoudemire e li sconfiggono 4-2, poi i Lakers alla fine del ciclo Shaq, battuti 4-2 e infine i Dallas Mavericks di Steve Nash e Dirk Nowitzki che si arrendono ancora una volta in 6 gare.

Alle finals ci sono i New Jersey Nets di Jason Kidd, che dopo aver perso gara 1, espugnano l’SBC Center. Gara 3 è già decisiva e la decide lui, Emanuel Ginobili da Bahía Blanca. A 44 secondi dalla fine, riceve in angolo, penetra lungo la linea di fondo e alza la parabola. San Antonio dà lo strappo decisivo, vola sul +5, ribalta il fattore campo e si invola verso il titolo.

All’arrivo in un nuovo mondo, ha già vinto un titolo. E il meglio deve ancora venire.

Manu e Tony freschi campioni NBA, è il 2003

L’anno dopo arriva la prima svolta: Stephen Jackson, la guardia titolare, tratta il rinnovo, ma chiede cifre che RC Buford, lo storico GM degli Spurs, ritiene troppo onerose.

Il potenziale intravisto in Ginobili fa sì che la dirigenza non voglia svenarsi per rinnovare Stack Jack e lo spedisce ad Atlanta.

Di botto, Manu passa da poco più di 20 minuti a quasi 30 di media. Da 69 partite giocate, di cui 5 in quintetto, passa a 77 di cui 38 in quintetto. Da 7.6 punti passa a 12,8 e migliora ogni singola statistica.

Ha la faccia tosta per sfidare i Big Man padroni dell’area, ma anche le mani delicate per bombardare da 3.

Alla fine del secondo anno è, nonostante l’età non più giovanissima (ha già 27 anni), uno dei talenti più in rampa di lancio di tutta la lega.

Prima di esplodere definitivamente, c’è una missione da portare a termine.

Generación dorada in paradiso.

Atene 2004.

Dal 13 al 29 Agosto, ad Atene, nella terra dove tutto ebbe inizio migliaia di anni fa, si disputano i giochi olimpici numero ventotto.

Per il torneo di basket, tutte le attenzioni sono sull’Argentina, vicecampione del mondo in carica. Agli USA non è servita la batosta mondiale e ad Atene si presentano con soli tre giocatori da Dream Team: Allen Iverson, Tim Duncan e Dwyane Wade, a cui si aggiungono due ragazzini niente male: LeBron James e Carmelo Anthony. La Jugoslavia non c’è più, ma ci sono Serbia e Montenegro unite e ovviamente, non manca nemmeno la Lituania.

Tutte squadre forti, ma l’Argentina sembra avere qualcosa in più.

Il gruppo mondiale viene confermato con due aggiunte: Walter Herrmann e Carlos Delfino.

La strada verso la vetta è più complicata di quella attraversata ai mondiali due anni prima: vincono di un soffio la rivincita con la Serbia e Montenegro, grazie ad un canestro assurdo alla Manu Ginobili.. di Manu Ginobili.

Poi perdono contro la Spagna del ventiquattrenne Pau Gasol, vincono contro Cina e Nuova Zelanda, ma poi perdono l’ultima partita del girone contro l’Italia, guidata dal magico Poz (a proposito di fantasia).

Passano il turno e sconfiggono la Grecia in una partita dalle brutte percentuali e dal punteggio basso. In semifinale ci sono gli USA, che non sono quelli del 92, ma è sempre meglio non affrontarli.

Contro gli Americani, contro ragazzi che vede praticamente tutti i giorni, Manu tira fuori la partita della vita.

Per trentadue minuti quello immarcabile non è più Allen Iverson, ma Manu Ginobili.

El Narigon tira 9 su 13 dal campo con 4 triple a bersaglio e segna 7 degli 8 liberi. Metteteci 3 rimbalzi, 3 assist e un recupero e otterrete una vittoria leggendaria, che da una parte darà la possibilità agli argentini di vendicarsi dell’argento di Indianapolis, mentre dall’altra farà nascere il Redeem Team in vista di Pechino 2008.

Trentadue minuti di puro genio. La Selección batte il Dream Team.

In finale ci siamo noi. Non Dream Team, ma la squadra dei sogni. Abbiamo battuto i fortissimi Lituani grazie ad una pioggia di triple, ma siamo sfiniti.

Sotto canestro Luis Scola fa sostanzialmente quel che vuole e chiude con 25+11, al resto ci pensa Manu con un 16/6/6 d’ufficio.

La Generación Dorada vola in paradiso. La Nazionale Argentina di pallacanestro è campione olimpica e Manu Ginobili è l’MVP del torneo olimpico.

Manu è Campione Olimpico e, ovviamente, MVP.

L’Olimpo

Quando torna da Atene, inizia la leggenda.

All’interno del sistema Popovich, rigido e ferreo come la leva militare, Manu si ritaglia i suoi spazi creativi. Ha la licenza di inventare, di stupire, di uscire dagli schemi. Pop gli affida la maglia da titolare per mezz’ora a partita, Manu lo ripaga con 16 punti, più di 4 rimbalzi e quasi 4 assist. Si muove a ritmo di tango fra le difese avversarie, è leggero come una piuma e per la prima volta, a Febbraio va all’All Star Game. Manu Ginobili è l’elemento di fantasia all’interno di un meccanismo rigoroso, ma perfetto.

San Antonio vola, ai playoff demolisce Denver, passa sui Seattle Supersonics e strapazza i Phoenix Suns, prima di giocarsi il titolo coi Detroit Pistons, campioni uscenti.

In Gara 1 gli Spurs sono ingiocabili: Tim Duncan domina sotto canestro chiudendo a 24 punti e 17 rimbalzi, al resto ci pensa sempre lui, Manu, ormai diventato eroe nazionale. 26 punti e 9 rimbalzi. Due giorni dopo, si reinventa assistman. 27 punti e 7 assist con 3 recuperi.

Detroit non muore, ribalta e fa 2-2. Gara 5 è tiratissima, si gioca punto a punto. 48 minuti non bastano e per poco nemmeno un overtime.

A 9.4 secondi dalla sirena, con Detroit avanti di due, Manu riceve la rimessa in angolo e in tempo zero si becca il raddoppio di Rasheed Wallace, che gli chiude lo spazio sia per la sua solita, mortifera, penetrazione, che per il tiro.

Ginobili si gira, vede una linea di passaggio impossibile per Robert Horry, uno che di tiri pesanti se n’è presi diversi, lo serve. Tripla. Ferro, rete. San Antonio vince Gara 5 e mette un altro mattoncino verso il titolo.

Manu trova una linea di passaggio impossibile per Big Shot Rob, che ovviamente non sbaglia.

Perderanno gara 6, ma non Gara 7. Il titolo torna in Texas, Tim Duncan è eletto MVP, ma tutti sanno che il vero eroe delle finals è quel ragazzo venuto dall’europa, coi capelli lunghi, la 20 sulle spalle e un mancino fenomenale.

Manu è sul tetto del mondo.

La gioia, incontenibile, di chi ha vinto il secondo titolo nel giro di tre anni

A 28 anni ha girato mezzo mondo, ha vinto in Nazionale, in Europa, in Italia e ora anche in NBA, da protagonista.

Popovich a questo punto s’inventa la mossa del secolo. Il minutaggio rimane invariato, ma Manu parte dalla panca. È una mossa imprevedibile, apparentemente folle, ma estremamente intelligente. Manu è tutto tranne che una primadonna. È umile, è un uomo di squadra, è uno che mette al primo posto il bene della squadra.

È estremamente competitivo, odia perdere ed è disposto a qualsiasi cosa pur di portare a casa il risultato.

San Antonio non bissa il successo, ma due anni dopo è di nuovo finale.

Stavolta non c’è Detroit, c’è Cleveland. LeBron James, 23 anni, alla sua seconda apparizione ai playoff, porta i Cavs fino in fondo, ma sul più bello si scioglie. Gli Spurs travolgono LeBron e i suoi Cleveland Cavaliers con un sonoro 4-0. Tony Parker è l’MVP, ma il mattatore è sempre lui. Sempre Ginobili. Terzo titolo.

LeBron è sconfitto, San Antonio è di nuovo campione.

La forza del collettivo

La vittoria del titolo del 2007, il terzo per Manu, il quarto per Popovich e Tim Duncan, rappresenta il punto più alto della dinastia Spurs. Negli anni successivi, spesso si parlerà di ultimo ballo. Servirebbe un altro titolo, il più bello di tutti, per chiudere in bellezza una dinastia già storica. Manu patisce diversi infortuni, che lo limitano per un paio d’annate. Tim Duncan sembra soffrire l’avanzare dell’età. Si arriva così al 2011, 4 anni dopo l’ultimo titolo. Le gambe di Manu non sono più quelle di una volta, ma per compensare ad un’esplosivitá in fase calante, si è costruito un gran tiro, da dentro e da fuori. Competitivo com’è, non poteva arrendersi di fronte all’età che avanza e così ha modificato il suo stile di gioco. Le continue penetrazioni, i cambi di direzione nel pitturato, le schiacciate in testa a a chiunque, che tanto lo hanno contraddistinto in gioventù, lasciano più spazio alle triple e ai jump dalla media.

Il 1 Luglio 2011 scoppia il lockout. L’NBA si ferma a tempo indeterminato. Il contratto collettivo, che regolava i rapporti tra giocatori e franchigie, non è stato rinnovato perché le parti non hanno trovato un accordo.

A mezzanotte e un minuto l’NBA chiude i battenti e non li riaprirà fino al 25 Dicembre.

Appena l’NBA riapre, Kawhi Leonard, quindicesima pick del draft, scelto da Indiana, firma con gli Spurs.

Kawhi è un ventenne nato e cresciuto nella difficile periferia di Los Angeles, con due braccia infinite e due mani enormi che fa della difesa la sua arma migliore, ma sul quale c’è tantissimo da lavorare per trasformarlo in un giocatore solido su entrambe le metà campo.

Kawhi è il tassello mancante, l’ultima aggiunta per tornare grandi

Con l’aggiunta del ragazzo di Riverside, San Antonio arriva fino alla finale di Conference, quando si arrende ai giovani Thunder di Kevin Durant, Russell Westbrook, Serge Ibaka e James Harden.

I tempi per l’ultimo titolo non sono ancora maturi, soprattutto perché Manu è stato continuamente ai box. E la macchina Spurs, da vera squadra organizzata qual è, senza tutti i suoi uomini non gira.

Ginobili passa dalla convocazione all’All Star Game nel 2011, a vedere gli altri giocare.

Archiviata la stagione del lock-out, è tempo di rimettersi in forma per puntare al titolo.

Stavolta Popovich fa sul serio, sa che ormai non gli restano più di un paio d’anni per vincere l’ultimo titolo. I suoi ragazzi sono tutti più che trentenni.

Il Manu Ginobili che si presenta ai blocchi di partenza nel 2012 è completamente rimesso a nuovo.

La sua voglia, continua ed irrefrenabile, di migliorarsi giorno dopo giorno anche a 35 anni, convince Popovich ad affidargli di nuovo quella second unit che lo ha reso grande. Tradotto, in parole semplici, Manu torna in panca come nel 2003 e nel 2007.

Gli Spurs sono tornati grandi.

58 vittorie, secondo posto nella Conference. 4-0 ai Lakers al primo turno, 4-2 ai Golden State Warrios al secondo e 4-0 ai Memphis Grizzlies alle Finali. Dall’altra parte degli USA ci sono i Miami Heat.

Si, quei Miami Heat. Quelli di LeBron, Wade, Chris Bosh… e Ray Allen.

Preparate i pop corn, perché Miami-San Antonio è la serie più bella del decennio (fino al 2016, ma questa è un’altra storia).

Si parte con due vittoria a testa, ma il pivotal game, Gara 5, va agli Spurs.

Gara 6 pende clamorosamente dalla parte degli Spurs fino all’ultimo secondo, quando Ray Allen mette un tiro impossibile e la manda all’Overtime, dove Miami sfrutta il fattore età e la vince.

La tripla impossibile di Ray Allen manda Gara 6 all’Overtime

LeBron, che all’epoca era nel suo prime assoluto, ha una fiamma interna che non cessa un attimo di bruciare. È la fame di vittoria più grossa mai vista. Risultato: 37-12-4. Titolo.

Miami è ancora una volta campione NBA e gli Spurs sembrano arrivati veramente al capolinea.

Il gruppo è quello, indiscutibile e insindacabile. Tony, Manu e Tim non si toccano e Kawhi sta crescendo esponenzialmente a vista d’occhio.

Si possono fare piccoli aggiustamenti, sia a livello di gruppo che a livello di gioco, ma il grosso problema è l’età.

L’ultimo ballo.

Nell’off-season più importante degli ultimi 7 anni arriva una firma silenziosa, ma fondamentale. Non è una stella, ma un solido role player. È una guardia, italiana, nata e cresciuta nella Basket City, Bologna. Cresciuto prima alla Virtus dei record (si, quella di Manu) poi alla grande Fortitudo, e consacratosi a New Orleans. È Marco Stefano Belinelli, da San Giovanni in Persiceto a San Antonio, alla corte di Gregg Popovich. Meriterebbe un capitolo tutto per sé.

Al primo allenamento in maglia Spurs, una voce familiare lo accoglie. Ma come, c’è un altro italiano?

No, quasi.

Quella voce, già sentita altrove, è di quel ragazzo che ai tempi della Virtus, spesso lo riportava a casa dopo la seduta di allenamento. Non è italiano ma quasi, è di Bahía Blanca, con origini marchigiane. Sì, avete capito, è Manu Ginobili.

Marco e Manu, da Bologna a San Antonio.

Ai blocchi di partenza, le due favoritissime al titolo sono sempre i Miami Heat, alla caccia del Three Peat e i San Antonio Spurs, all’ultima vera occasione per chiudere un cerchio, vincendo l’ultimo titolo di una grande dinastia.

Le due squadre si ritrovano in finale, di nuovo.

I Texani hanno ancora in mente gli ultimi secondi di Gara 7 di un anno prima. I colpi contro il pavimento di Tim Duncan nell’ultima azione di Gara 7, frustrato per non essere riuscito a segnare il layup del 90 pari. Il jump di LeBron in faccia a Kawhi e Miami che vince il titolo.

Esecuzione magistrale, +2, Titolo.

L’incubo potrebbe ripetersi, un anno dopo quell’incredibile serie giocata a livelli spaventosi, è di nuovo Miami contro San Antonio.

LeBron, Wade e Bosh, contro Manu, Tony Parker, Tim Duncan, Atto Secondo.

Stavolta no, stavolta non c’è storia.

San Antonio gioca una pallacanestro meravigliosa, con continui passaggi sul perimetro alla ricerca del miglior tiro possibile. È The Beautiful Game, l’ultima invenzione di Gregg Popovich.

San Antonio vince la prima, perde la seconda, ma poi è un uragano. In Gara 5, il momento Ginobili della serie. Tiago Splitter cattura il rimbalzo, serve Manu che all’improvviso torna venticinquenne. A metà campo accelera all’improvviso, s’infila fra Ray Allen e Udonis Haslem, entra in area ed esplode una roboante schiacciata in testa a Chris Bosh.

Coast to Coast e schiacciata travolgente. Manu torna ragazzo.

Di colpo torna il Manu degli inizi, bello, geniale e screanzato.

San Antonio annichilisce Miami, Kawhi Leonard è l’MVP delle Finals grazie ad una difesa totale su LeBron.

È l’ultimo ballo della grande dinastia Spurs.

Il primo ad alzare bandiera bianca è Tim Duncan, ormai arrivato alla soglia dei 40, seguito due anni dopo da Tony Parker che viene ingaggiato da MJ per i suoi Charlotte Hornets e il 27 Agosto 2018 Manu dice basta.

L’eroe dei due mondi, dopo 4 titoli NBA, un titolo italiano, due coppe italia, una vittoria dell’Eurolega, un oro e un bronzo olimpico e un argento mondiale, dopo aver fatto innamorare l’Argentina, l’Italia e gli USA, appende la canotta al chiodo.

Gracias, Manu.

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