Questa non è una storia normale, infatti per raccontarla non partiremo dall’inizio, ma dalla sua fine. Il 26 gennaio era una domenica come tante altre, con la NBA che si preparava a mettere in scena diverse partite. Il giorno prima LeBron James aveva superato Kobe Bryant come 3° marcatore della storia NBA e quest’ultimo si era complimentato con il nativo di Akron dicendo di continuare così e dichiarando di avere gran rispetto per il Re. Quella che sembrava una giornata normale smise di esserlo alle 14:30 americane (circa 20:30 italiane) quando iniziò a diffondersi la voce della morte di Kobe e di altri 8 passeggeri tra cui la figlia Gianna, di 13 anni, in un incidente aereo. Circa un’ora dopo arrivò la conferma delle autorità locali e iniziarono a circolare i primi dettagli sulla vicenda. Kobe aveva preso l’elicottero per poter andare alla partita della figlia, e nonostante la forte nebbia, il pilota decise di partire comunque con l’elicottero, e l’errore costò la vita a lui e a tutti i passeggeri. La notizia sconvolse il mondo e chiunque, anche nei paesi meno avvezzi al basket, fu addolorato. Kobe era riuscito a fare breccia nei cuori di chiunque, anche chi non avesse mai visto una partita di basket, e, insieme a Jordan, è uno dei pochi giocatori ad essere conosciuto da tutti.Ma vediamo cosa ha portato Kobe a diventare così influente e conosciuto.
INFANZIA

Kobe nasce a Philadelphia, e sia il padre che il nonno materno erano giocatori NBA,con il padre che era ancora attivo come giocatore NBA. Il nome Kobe deriva dal famoso manzo mentre il secondo nome Bean deriva dal soprannome del padre “Jellybean”. Kobe inizia a giocare a basket a 3 anni e segue il padre nel mondo della NBA, sino a quando Joe Bryant decide di abbandonare il mondo del basket americano per proseguire la sua carriera a Rieti. Dopo due anni a Rieti si trasferiscono prima a Reggio Calabria , poi a Pistoia e infine a Reggio Emilia, posto che Kobe adora e dove comincia ad iniziare a giocare seriamente a basket. Kobe diventa subito uno studioso del gioco, con il nonno che gli invia video NBA da osservare ed inoltre guarda diversi film europei sul basket, aumentando la sua conoscenza del gioco. Bryant si trova benissimo in Italia, parla fluentemente la lingua e si adatta alle tradizioni, oltre a diventare un gran tifoso del Milan.
HIGH SCHOOL

Dopo il ritiro del padre, la famiglia ritorna a Philadelphia, dopo sei anni in Italia, e Kobe si iscrive subito alla Lower Merion High School di Ardmore, dove inizia a giocare a basket e diventa subito la star della squadra, non ottenendo grandi successi a livello di squadra, con la stagione che finisce con il brutto record di 4 vittorie e 20 sconfitte. Nella stagione successiva la musica cambia, con Kobe che trascina la squadra ad un record positivo per poi addirittura superarsi nel terzo anno, in cui segna 31 punti conditi da 10 rimbalzi e 5 assist e viene eletto miglior giocatore della Pennsylvania, oltre ad essere invitato alla “Parade All-America Boys Basketball Team”, una squadra che riuniva i migliori giocatori delle scuole superiori americane, guadagnandosi le attenzioni di diversi college importanti come Duke , Michigan , North Carolina e Villanova. Tuttavia, quando nel draft 1995 venne scelto Kevin Garnett, giocatore uscito dal liceo, anche Kobe inizia a pensare di saltare il college per diventare un professionista. Kobe partecipa all’All’Adidas ABCD Camp, nel quale vince il titolo di MVP e viene invitato a fare un’allenamento con i Philadelphia 76ers. Nel suo ultimo anno di liceo Bryant trascina la sua squadra al primo titolo statale della storia mettendo a segno 30,8 punti, 12 rimbalzi, 6,5 assist, 4 palle rubate e 3,8 stoppate, portando gli Aces a un record di 31–3 oltre a finire l’High School come miglior marcatore della storia della Pennsylvania, davanti a Wilt Chamberlain.
IL DRAFT

“Se chiudevi gli occhi e pensavi un po’, avresti pensato di guardare Michael Jordan . Ha fatto tutto bene, oltre il bene. Era eccezionale in tutto ciò che faceva. E poi abbiamo commentato, se ricordo bene, come ricordava Michael”.
Jan Volk, direttore generale dei Celtics, durante un pre-workout di Kobe
Kobe decide di candidarsi al draft, e ottiene interesse da diverse squadre, ma molte, come ad esempio i Clippers, dubitano della sua capacità di reagire alla pressione, dato che non è stato possibile vederlo in un ambiente importante come il college e la NCAA. Kobe partecipa ad un allenamento con i Los Angeles Lakers, dove batte gli ex giocatori dei Lakers Larry Drew e Michael Cooper. I gialloviola cercava di scambiare il centro Vlade Divac per una buona scelta al draft, in maniera tale da poter avere lo spazio per firmare il free agent Shaquille O’Neal, e lo scambio arriva proprio il giorno del draft, infatti i Lakers trovano un accordo con gli Charlotte Hornets, i quali selezionano, su comando dei Lakers, Kobe Bryant che viene mandato subito nella città degli angeli in cambio di Divac. Lo scambio viene però concluso soltanto a luglio per colpa di Divac, il quale minaccia di ritirarsi in caso di addio a Los Angeles, ma successivamente decide di accettare controvoglia l’arrivo agli Hornets. Il 9 luglio i genitori di Kobe firmano il contratto con i Lakers, dato che il figlio era ancora minorenne, e Kobe diventa ufficialmente un giocatore NBA.
PRIMI ANNI NBA

Kobe si presenta subito alla Summer League dove domina con 25 punti di media e entusiasma diversi addetti ai lavori. Kobe inizia la sua carriera NBA giocando circa 15 minuti a partita nella sua prima stagione, entrando nel 2° quintetto Rookie a vincendo la gara delle schiacciate. Ai playoff i Lakers arrivano al secondo turno contro gli Utah Jazz e, sul punteggio di 3-1 per i Jazz, i Lakers si trovano a poco senza le due guardie più importanti e la propria star, dato che Scott salta il match per infortunio, Horry viene espulso per via di una rissa con Hornacek mentre Shaq commette troppi falli. Per questo motivo i Lakers decidono di dare il ruolo da protagonista al giovane Kobe, definito da Shaq come l’unico col fegato per prendersi tiri importanti, ma il giocatore nato a Philadelphia tira 4 “airball” e i gialloviola vengono eliminati ai supplementari. Nell’estate il protagonista della nostra storia si allena duramente, e il lavoro dimostra i suoi frutti quando raddoppia i suoi punti, raggiungendo i 15 punti segnati e diventando il più giovane All-Star della storia della lega americana. Nella stagione 98-99 Kobe diventa ufficialmente titolare con i Lakers che scambiano le altre due guardie Van Exel e Jones.
THREE-PEAT

Il vero inizio dei suoi successi arriva però nella stagione successiva, con l’aggiunta in panchina di Phil Jackson, allenatore di Jordan negli anni di Chicago, e del suo schema del triangolo, che porta O’Neal e Bryant a diventare giocatori elite nel panorama NBA. Kobe gioca 38 minuti di media e viene inserito nell’ All-NBA Second Team e All-NBA Defensive Team e, insieme a Shaq, raggiunge le 67 vittorie, 5° miglior record della storia. Ai play-off Kobe, seppur come secondo violino, mette a segno prestazioni importanti e giocate iconiche, come il famosissimo alley-oop per O’Neal contro Portland nella gara 7 delle finali di conference. Nelle finals Kobe viene infortunato intenzionalmente da Jalen Rose degli Indiana Pacers e perciò è costretto a saltare gara 3, tornando però in gara 4 segnando 22 punti nel solo secondo tempo e trascinando i Lakers alla vittoria, con la serie che viene concluse in gara 6 con una vittoria dei Lakers e O’Neal eletto MVP delle Finals. La stagione successiva Kobe segna 28,5 punti ad allacciata di scarpe e, nonostante le 11 vittorie in meno nella stagione regolare, la squadra riesce a fare dei playoff quasi perfetti con 15 vittorie e 1 sconfitta, patita dai 76ers di un eroico Allen Iverson, e Bean vince il suo secondo titolo NBA. Nella stagione successiva il secondo violino dei Lakers si mantiene su quel livello, ma la squadra finisce la stagione regolare in seconda posizione. Dopo aver travolto facilmente i Blazers e gli Spurs, i gialloviola arrivano ad affrontare l’unica squadra capace di superarli in regular season: i Sacramento Kings. La serie contro i Kings finisce con la vittoria dei campioni in carica in 7 partite, i quali poi battono i Nets in finale per chiudere il three-peat.
FALLIMENTI POST THREE-PEAT

Nel 2003 Kobe raggiunge finalmente i 30 punti di media, con addirittura un picco di 40,6 punti a partita nel mese di febbraio, e inoltre ottiene i record in carriera sino a quel momento in diverse categorie: rimbalzi, assist e palle rubate. I Lakers però non riescono a vincere nuovamente e perdono nel 2° round contro San Antonio. Nella stagione successiva i Lakers tentano il tutto per tutto ottenendo due grandissimi giocatore come Gary Payton e Karl Malone. Il quartetto di fenomeni riescono a raggiungere la finale NBA dove però vengono distrutti dai ben più coesi Detroit Pistons. Questa grave sconfitta porta allo sfaldamento della squadra con diversi addii: Phil Jackson viene esonerato, Malone si ritira, mentre O’Neal viene mandato a Miami per via di diversi problemi con Bryant.
SCORING TITLES
L’estate di Kobe è molto complicata, infatti arrivano diverse critiche per via del suo comportamento nella stagione precedente, confermato quando Jackson ha scritto The Last Season: A Team in Search of Its Soul. In questo libro Phil racconta la stagione 2003-2004 criticando duramente il comportamento di Bryant, definito non allenabile. Nella stagione successiva Kobe si trova con una squadra senza un supporting cast sufficiente e per la prima volta in carriera non gioca i playoff. Nella stagione successiva arriva però una svolta, infatti nonostante i dissapori, sulla panchina ritorna Phil Jackson con il quale la squadra torna ai playoff. Inoltre la star della squadra dimostra anche una maturità a livello umano, chiarendo i suoi problemi con Shaquille O’Neal. In una partita contro i Raptors Kobe segna il proprio carrer-high con 82 punti, secondo miglior punteggio in una partita NBA, e finisce la stagione vincendo lo scoring title con 35,4, non vincendo però l’MVP, che va a Nash. Nella stagione successiva Bryant cambia anche numero di maglia, prendendo il numero 24, che indossava nell’High school. Nel 2007 Kobe mette un record di 3 partite consecutive con 50 punti, ma ai play-off arriva un 4-1 contro i Phoenix Suns.
RITORNO AL TOP
Dopo un’off-season turbolente, in cui Bryant sembra allontanarsi da Los Angeles, Kobe riesce a giocare bene nonostante la rottura del dito della mano dominante, e pur di non saltare i playoff e le Olimpiadi decide di non operarsi e di giocare tutte le partite della stagione e, grazie anche all’ arrivo di Pau Gasol, porta la squadra alle 57 vittorie vincendo il suo primo MVP. Nei playoff i Lakers dominano e arrivano in finale in maniera agevole, dove trovano i rivali storici dei Boston Celtics, capitanati dal big 3 formato da Pierce, Garnett e Allen. Le Finals vengono vinti dai Celtics in gara 6, ma Kobe capisce di essere vicino alla vittoria. I Lakers non vanno mai in difficoltà nella stagione successiva, trovando 65 vittorie, e ripetendosi ai playoff, dove arrivano alle Finals contro i giovani Magic, i quali vengono sconfitti in 5 partite con Kobe che diventa MVP delle finali con 32 punti di media. Nell’anno successivo arrivano di nuovo in finale contro i Boston Celtics. Le finali sono molto equilibrate con i Boston Celtics che arrivano a metà gara 7 in vantaggio di 13 punti, ma Kobe, nonostante le difficoltà al tiro, riesce a rimontare e a vincere le finali NBA per la seconda volta.
ULTIMI ANNI E RITIRO

Negli anni successivi Bryant viene tormentato da molti infortuni alla mano, con due sconfitte nel secondo round, e contro gli Oklahoma City gioca la sua ultima partita ai playoff. Kobe continua a subire molti infortuni e i Lakers iniziano a non puntare più a vincere ma a puntare alla ricostruzione. Nel dicembre 2013 Kobe si rompe il tendine d’Achille e dopo altre due magre stagioni, Kobe annuncia il ritiro alla fine della stagione 2015-2016. Nella sua ultima partita mette a segno 60 punti vincendo contro gli Utah Jazz.
OLTRE AL BASKET

Durante la sua carriera partecipa a due film:”Kobe Doin’ Work”, in cui viene diretto da Spime Lee e il film “I Am Bruce Lee” nel 2012. Inoltre appare in due episodi di due serie americane: Moesha nel 1996 e Modern Family nel 2010. Oltre a questo vince di versi premi nel ruolo di sceneggiatore grazie al suo cortometraggio “Dear Basketball”. Infine nel 2018 pubblica il suo libro “The mamba mentality”. Kobe aveva anche progetti per il suo Reggio Emilia, dove voleva aprire diverse strutture per aiutare i ragazzi a inserirsi nel mondo dello sport, non solo come giocatori, ma per via della sua tragica fine, non è riuscito a fare questo progetto. Kobe ha inspirato diversi giocatori e altre persone a dare sempre il massimo, con la sua mamba mentality che è diventata iconica e viene ancora insegnata e tramandata da diverse persone. Diversi giocatori hanno tributato Kobe, tramite scarpe, dichiarazioni o ,come nel caso di LeBron, un tatuaggio. Grazie a tutto ciò Kobe vivrà per sempre nei ricordi di chiunque l’abbia visto giocare perciò “Mamba Out” è soltanto dal punto di svista fisico.


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