Una notizia tremenda che nessun appassionato di basket avrebbe mai voluto sentire, se n’è andato in silenzio, come poche volte è riuscito a rimanere durante tutti i suoi 88 anni, William Felton Russell, detto Bill.
Una vita passata a combattere il razzismo in tutte le sue forme, prima con le parole, poi coi fatti. 88 anni intensi, vissuti prima da leggenda sul parquet, poi in prima linea per i diritti umani, civili e sociali del popolo nero.
Nato a Monroe, nel cuore della Louisiana, ma cresciuto e diventato uomo prima a San Francisco e poi nella città più bianca d’America, a Boston.
Un uomo gigantesco in tutti i sensi, leggenda dello sport della palla a spicchi, il primo capace di dare al ruolo di centro una dimensione prettamente difensiva e, per certi versi, padre di tutti gli odierni rim protector (come Rudy Gobert, per dirne uno). Ma Bill Russell, che in tredici anni di carriera si è infilato UNDICI anelli, non vuole essere ricordato per le sue gesta sul parquet, bensì per il suo costante impegno sul fronte sociale. Bill rappresentava l’anello di congiunzione tra l’attivismo pacifico promosso da Martin Luther King e il movimento Black Power portato avanti da Malcolm X. Una vita passata a combattere per far sì che cadesse ogni barriera sociale che dividesse il mondo privilegiato dei bianchi e quello disgraziato di chi, sfortunatamente, era nato nero.
88 anni intensi, vissuti dal primo all’ultimo giorno prima nel terribile profondo sud, poi nella capitale della controcultura e poi nella città, a detta dei tifosi Laker, più razzista degli States.
Undici titoli, due campionati NCAA, 5 MVP, numeri impressionanti che però non ci dicono chi era realmente William Felton Russell, per tutti, semplicemente Bill.


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