Correva il giorno 19 Giugno 2016 – Cleveland, this is for you.

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Oracle Arena

Oakland, baia di San Francisco.

California.

19 Giugno 2016. Gara 7.

Golden State Warriors contro Cleveland Cavaliers.

È la rivincita dell’anno prima, quando ci vollero 6 gare per mandare a casa un indemoniato LeBron James, tornato nella sua Cleveland dopo quattro anni a Miami.

Stavolta però, i Cavs hanno un’arma in più, anzi due.

La prima è Kyrie Irving che, all’esordio alle finals un anno prima, si ruppe la rotula.

La seconda è Kevin Love, anche lui grande assente dei playoff precedenti, messo ai box da una lussazione alla spalla.

Nel 2016 ci sono tutti: Steph Curry, Klay Thompson, Andre Iguodala, Harrison Barnes e Draymond Green da una parte, Kyrie Irving, JR Smith, LeBron James, Kevin Love e Tristan Thompson dall’altra.

Facciamo un piccolissimo passo indietro: per i Golden State Warriors, è la stagione dei record. L’incredibile 72-10 con cui i Chicago Bulls chiusero l’annata 1995-1996, viene battuto da un incredibile 73-9 e Steph Curry è eletto MVP all’unanimità.

131 voti su 131, Steph Curry è l’MVP 2015-2016

Dall’altra parte, dopo la cocente delusione delle Finals 2015, LeBron guida i suoi ad un 57-25, che basta per guadagnarsi il primo posto ad Est.

Tralasciando la scalata verso le finals, i due velieri si incrociano per la prima volta il 2 Giugno a San Francisco: Golden State batte Cleveland 104 a 89 grazie ad un meraviglioso Shaun Livingston.

In Gara 2, per i Cavs, va pure peggio: 110 a 77.

Serie già finita, dicono in tanti, ma non si deve mai dare per morta una squadra sotto 2-0, soprattutto se adesso si gioca in casa sua.

In Gara 3, alla Quicken Loans Arena di Cleveland, va in scena un autentico massacro. LeBron 32, Kyrie Irving 30, Jr Smith 20, risultato 120 a 90.

Due giorni dopo, però, Curry fa la voce grossa in Ohio. 38 punti regalano il primo match point, tra l’altro in casa, ai Californiani.

Fra gara 4 e gara 5, però qualcosa cambia.

Draymond Green litiga con LeBron e si preclude gara 5.

Uno scontro apparentemente di gioco, fra LeBron e Draymond Green, avvenuto sul finale di Gara 4, finisce nella lente d’ingrandimento degli uffici NBA.

La decisione è pesante: flagrant per Draymond Green e tecnico per LeBron. Ma per l’Orso Ballerino quel flagrant è di troppo: Golden State si giocherà il titolo senza il suo leader emotivo.

Quando il gatto non c’è, i topi ballano. LeBron, libero dall’asfissiante marcatura di Dray ne infila 41, tanti quanto il suo collega Kyrie Irving.

82 punti combinati, mai nessuno come loro nella storia.

Prestazione celestiale del duo Cavs, per loro sono 82 punti combinati.

Il meglio deve ancora venire: tre giorni dopo si torna a Cleveland, stavolta c’è Draymond Green, ma LeBron ormai è in trance agonistica.

41 in Gara 5 a San Francisco, 41 in Gara 6 a Cleveland.

Si torna a San Francisco, per gara 7.

Comunque vada, è già storia: da una parte l’anello sarebbe il coronamento delle 73 vittorie in RS, dall’altra significherebbe portare un titolo laddove il Larry O’Brien non è mai stato, interrompendo una maledizione che dura da 52 anni.

Si parte a ritmi altissimi: tanti tiri (21 per i Cavs, 20 per Golden State nel solo primo quarto), ma tanti, troppi errori.

Si va al primo intervallo coi Cavs in leggerissimo vantaggio, grazie a due liberi del Re conquistati praticamente sulla sirena.

Il clima della Oracle Arena è infernale: ad ogni canestro dei gialloblu il palazzetto esplode in un boato come se avessero segnato il tiro decisivo. Nel secondo quarto l’Orso Ballerino spara quattro triple consecutive e, per la prima volta, Golden State trova un mini allungo.

Nel terzo quarto la partita sbanda da entrambe le parti: i Cavs partono da -7 ma si portano a +7 a 4 minuti dal termine, prima di subire un parziale di 15-8.

A 12 minuti dal termine della stagione, Cleveland e Golden State sono separate da un solo punto.

L’ultimo periodo non è più basket, è una sfida di nervi, di inerzia. Due squadre pronte a spremere quel briciolo di energia rimasta, sperando di averne un pochino più degli altri.

Cleveland è tenuta in piedi dal suo Re, che genera 12 dei primi 14 punti dei Cavs.

I Warriors rispono colpo su colpo, prima con due liberi di Shaun Livingston, poi con un layup di Dray, una tripla di Curry, un jump di Klay, un altro layup di Dray e un altro layup di Klay Thompson, che fissa il punteggio sull’89 pari.

Qui, il tempo si ferma.

89 pari, 4:39 da giocare, un’eternità.

LeBron è già nella storia, comunque vada a finire, perché con 26 punti, 10 rimbalzi e 11 assist, è il terzo giocatore di sempre a chiudere in tripla doppia, dopo Jerry West nel ‘69 e James Worthy nell’88. A tenere in piedi Golden State c’è un meraviglioso Draymond Green da 32 punti, 15 rimbalzi e 9 assist e una difesa a uomo su LeBron.

Non segna più nessuno, le due squadre sono sulle gambe, nessuno riesce a costruire un buon tiro.

Per tre interminabili minuti, nessuno riesce a mettere a quella dannata palla dentro la retina. Ci provano tutti, ma il canestro è maledetto.

Ad 1:50 dalla sirena, succede l’impossibile.

Irving attacca dal perimetro, chiama un pick & roll con Jr Smith per liberarsi di Klay Thompson e puntare Curry, GSW accetta il cambio, Kyrie penetra a difesa schierata, vola al ferro ma Draymond Green riesce in qualche modo a ostacolarlo. Il layup esce, si lotta a rimbalzo, ha la meglio Iguodala che lancia il contropiede.

Cleveland è scoperta, è 2 contro 1, Andre Iguodala e Steph Curry contro il solo Jr Smith, che non me ne voglia, non è un gran difensore d’area.

Iguodala corre, supera la metá campo, la da a Curry che prima fa una mezza finte e poi ai 5 metri gli serve un pallone delizioso, Iggy lo afferra e cerca di appoggiarla al tabellone. Jr oSmith prima abbocca alla finta, poi cerca in qualche modo di mettere una mano sul pallone di Iggy, ma salta troppo presto.

Sarebbero due punti facili, se non che, fra Iguodala e il tabellone spunta incredibilmente la mano di LeBron, che stampa il pallone sul vetro.

È la gioconda, non è una stoppata.

“BLOCKED BY JAMES!” Urla incredulo Mike Breen, storico telecronista della ABC.

Decisamente più impattante il nostro caro Flavio Tranquillo, che dalla cabina di commento della Oracle Arena, in preda ad un vortice di emozioni travolgente, recita dei versi quasi danteschi, divenuti poesia in tempo zero.

È la gioconda, non è una stoppata.

Potrebbe aver messo la firma sul capolavoro, ma non sa cosa sta per succedere di lì ad un minuto.

Dopo la clamorosa stoppata, Jr Smith recupera il rimbalzo e, arrivato a metà campo, la lascia lì per LeBron.

Il Re va piano, si prende tutto il tempo necessario per attaccare l’area con un gancio, che però esce.

Si lotta a rimbalzo, la tocca il solito, fenomenale Draymond Green e poi finisce nelle mani di Curry.

L’mvp della stagione vuole mettere il punto esclamativo sulle 73 vittorie: attacca Irving dal palleggio, prova lo step back da 3 ma gli esce un mattone terrificante (altra perla di Flavio Tranquillo).

Kevin Love recupera il rimbalzo, Irving porta palla ma a 69 secondi dallo scadere dei regolamentari, Tyronn Lue chiama time out.

C’è bisogno di riorganizzazione le idee, di disegnare un ultimo attacco che possa spaccare la parità.

Fuori Tristan Thompson, dentro Richard Jefferson per aumentare la pericolosità dall’arco.

Time out finito, si torna in campo.

LeBron batte la rimessa e chiama lo schema: Kyrie, la palla è tua, fai una magia.

Irving chiama il solito p&r per liberarsi di Klay Thompson e attaccare 1 contro 1 Steph Curry dall’isolamento.

Kyrie lo punta, Curry non vuole regalare tre liberi ad uno che li tira con le sue stesse percentuali, quindi si mantiene a debita distanza.

Uncle Drew palleggia fra le gambe, una, due, tre volte, finta di andar dentro, Steph gli resta incollato, non lo molla un attimo. Poi, all’improvviso, il colpo di genio. Step back fulmineo e tripla in faccia al più grande tiratore della storia.

Step back e bomba. È di Kyrie Irving il canestro che rompe la parità.

Stavolta la retina si muove.

In un’azione di mezzo secondo c’è tutta la fantasia, tutto l’estro di un giocatore estremamente controverso, ma clamorosamente forte e decisamente bello da vedere.

Salta per aria Golden State, che cerca di rispondere al capolavoro di Irving con un altro capolavoro, stavolta di Curry.

Steph chiama il blocco, attacca Kevin Love che difende a meraviglia, non ha spazio per prendersi un tiro, ma il cronometro corre e il tiro va forzato. Forzatura che sbatte sul ferro e finisce in mano al Re, che lancia Kyrie in contropiede per prendersi gli ultimi due punti decisivi.

Irving attacca Iguodala, manda la palla per aria, Iggy la manda verso il fondo ma con un miracolo Kyrie la tiene in campo e la spara via, verso Kevin Love, che in tempo record la mette in cassaforte, consegnandola a LeBron, spalle a canestro contro Harrison Barnes.

I Warriors hanno ancora un fallo da spendere e Barnes non ci pensa due volte.

La rimessa, ancora una volta, tocca al Prescelto, che, pur di guadagnare secondi, la spedisce nell’altra metà campo.

Irving, non so con quali forze, probabilmente per adrenalina pura, parte come un razzo verso il ferro. In 4 secondi è già dall’altra parte, ma stavolta non tira, stavolta scarica per il treno merci in corsa con la canotta numero 23, che carica una schiacciata potentissima in testa a Draymond Green, che non si lascia posterizzare e lo abbatte.

LeBron tenta di distruggere Draymond Green con una schiacciata potentissima, ma l’Orso Ballerino lo travolge.

Un botto terrificante, un volo di tre metri contro il parquet di un ammutolita Oracle Arena.

Il braccio destro impatta violentemente per terra con addosso tutto il peso di un corpo mastodontico. Sembra un danno serio, ma in quel momento, a 10 secondi dal titolo, niente gli impedirà di segnare quei due tiri liberi che si è guadagnato.

Il primo si infrange sul ferro, il secondo muove la retina. +4.

Curry ha sulle mani il pallone del -1, ma costruisce non uno, ma ben due attacchi orribili, conclusi con due orribili mattoni.

È finita, i Cleveland Cavaliers sono campioni NBA. LeBron, che due anni prima era tornato nella sua Cleveland, in quella città che lo aveva salvato dagli oscuri ghetti di Akron, scoppia in lacrime. Finalmente, dopo due finali perse, può urlare a tutto il mondo ciò che si teneva dentro da 10 anni.

Just a kid from Akron.

CLEVELAND, This is for you.

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