Salt Lake City, Utah.
Delta Center.
14 Giugno 1998.
Diciottomila persone racchiuse in un palazzetto a metà fra il deserto dello Utah e le Montagne Rocciose per vedere quello che, probabilmente, è l’ultimo atto della carriera di un gigante della palla a spicchi, forse il più gigante fra i giganti, tale Michael Jeffrey Jordan.
Facciamo un passo indietro: i Chicago Bulls, da quando Jerry Krause ha trovato l’unica persona al mondo capace di allenare Michael Jordan, ovvero Phil Jackson, hanno vinto 3 titoli consecutivi.

All’alba della stagione 1993-1994, saturo di vittorie e distrutto per la morte del padre, Michael Jordan si ritira, per poi tornare sui suoi passi 17 mesi dopo.
Archiviata la stagione, piuttosto deludente, del ritorno in campo di MJ, Jerry Krause costruisce un’altra grande squadra, con l’obiettivo di tornare a vincere più titoli possibili.
Vincono sia nel 1996 che nel 1997, ma dopo il secondo titolo Krause vuole smantellare la squadra.
Dopo una trattativa lunga tutta l’offseason, Phil Jackson e la squadra ottengono ciò che volevano: un ultimo anno, tutti insieme, per fare la storia.
Dunque, dopo 62 vittorie in RS, i Bulls battono in successione: New Jersey Nets, Charlotte Hornets e Indiana Pacers.
Dall’altra parte dell’america, viaggia col vento in poppa la corazzata Jazz, guidata dalla coppia più temibile della lega: John Stockton (15mila e rotti assist) e Karl Malone (quasi 37mila punti, terzo miglior marcatore della storia, dietro Kareem e LeBron).

Come l’anno prima e come da pronostico, le due squadre migliori della lega si incontrano all’ultimo atto della stagione.
Un anno prima, dopo due vittorie a testa, Jordan ne infila 38 in gara 5 (il leggendario Flu Game, che merita decisamente di essere raccontato in separata sede) e 39 in Gara 6, trionfando per la quinta volta.
Dunque, torniamo a quella sera a Salt Lake City, precisamente a 42 secondi dal termine della partita.
Possesso Chicago, ma i Jazz sono sopra di 3.
Phil Jackson chiama un time out per riordinare le idee: la strategia è chiara, niente tiro da 3, meglio due punti veloci per giocarsi gli ultimi possessi faccia a faccia.
Phil, vecchia volpe, ha notato che Bryon Russell è il più attaccabile di tutti, e quindi quindi disegna la rimessa, con palla rigorosamente nelle mani del numero 23, sfruttando quel mismatch.
Palla a Mike, che punta come da copione Russell, lo salta e ne appoggia due delicatissimi al vetro. Ci sarebbe un contatto, ma per gli arbitri si può bypassare.
-1 Chicago, palla a Utah che, per scardinare la difesa dei Bulls, ricorre sistematicamente al post basso di Karl Malone, consapevole che se arriva il raddoppio, The Mailman può scaricare un missile sul perimetro dove sono schierati i tiratori, altrimenti sono due punti facili.
Anche stavolta, John Stockton porta palla fino ai 7 metri e poi serve Malone in post basso.
Michael lo vede, gli si avvicina, aspetta che arrivi Dennis Rodman a ringhiare alle spalle e poi scivola dietro, quasi disinteressato.
Malone cerca di farsi spazio sfruttando la differenza di stazza fra lui e Rodman, ma l’uomo dai capelli leopardati, nonostante le dimensioni piuttosto ridotte rispetto ai pari ruolo, non si sposta di un centimetro.
Passa un secondo, ne passa un altro, e all’improvviso da dietro spunta lui, Michael Jordan, che strappa la palla dalle mani di Malone.
The Mailman, preso alla sprovvista, non riesce a recuperare la palla e scivola in terra. Chicago ha 19 secondi per chiudere l’azione e, ovviamente, non ha nessuna fretta.

Tutti i presenti sanno cosa sta per succedere, sanno che non ci sarà nessuna Gara 7 e che i Chicago Bulls vinceranno il titolo in quei diciannove secondi che li separano dal suono della sirena.
Niente time-out, è uno contro uno, Michael Jordan ancora contro Bryon Russell col cronometro che corre, come sulla rimessa di venti secondi prima.
Gioca col cronometro, si prende tutto il tempo necessario per fare quello che vuole, poi all’improvviso, una sequenza di movimenti hollywoodiana.
Prima finta di andare verso l’esterno, poi con movenze feline avanza fino alla lunetta. Byron Russell lo segue, passo dopo passo, ma all’improvviso ecco che il genio prende il sopravvento.

Prima un’accelerazione improvvisa, poi un crossover devastante: Russell, che fino a quel momento aveva difeso su Mike in tutti i modi possibili, perde l’equilibrio su quel movimento a U e vola per terra.
Il tempo si ferma, tutti gli occhi sono puntati su quel 23. Palleggio, arresto, tiro. Mentre la retina si muove, sul Delta Center cala il silenzio.
Un silenzio glaciale, di terrore, che profuma di sconfitta, interrotto soltanto da un grido elegiaco del nostro Flavio Tranquillo.

24 anni fa, tutti aspettavano l’arresto e tiro di Jordan, Michael Jeffrey Joooordaaaan.


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