Correva il giorno 22 Gennaio 2006 – Kobe forza 81

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Financial District, Los Angeles, 22 Gennaio 2006.

Allo Staples Center va in scena una delle tante sfide che costellano la stagione regolare della NBA, i Los Angeles Lakers affrontano i Toronto Raptors.

Di per sè, non è una grande sfida, d’altronde siamo a metà stagione, il periodo più soporifero della RS. I Lakers sono nella fase di transizione tra il dominio di Shaq e l’affermazione di Kobe come primo violino, mentre i Raptors navigano nei bassifondi della lega. Bassifondi che però, in estate, regaleranno la prima scelta al draft, con cui i Raptors chiameranno Andrea Bargnani.

Tornando a L.A, come dicevo, non è un big match, ma va contestualizzato nel giusto periodo.

Il Gennaio 2006, per tutta l’NBA, profuma di vintage. In quel mese, il numero 8 dei Lakers, tale Kobe Bean Bryant, viaggia a 43.3 punti di media, un po’ come Wilt Chamberlain nel 1964.

E ovviamente, ogni giorno in quel mese è buono per sfondare un record.

La sorte vuole che i malcapitati siano i Toronto Raptors.

Toronto che però, parte forte, complice delle spaziature oscene dei Lakers, che hanno in Kobe l’unica arma offensiva, insieme ai tap-in dei giganti sotto canestro.

Il primo quarto fugge, lasciando i gialloviola indietro di sette lunghezze, nonostante un ottimo Kobe da 14 punti, ma alle prese con un fastidioso dolore ad un ginocchio.

Al rientro dal primo intervallo, Phil Jackson richiama in panchina il suo numero 8. È il momento peggiore della partita. I Lakers vengono costantemente martellati dagli ottimi Toronto Raptors, che al giro di boa arrivano con 63 punti contro i 49 dei losangelini. Di quei 49, ben 26 arrivano dal Mamba. Tutti gli altri ne producono 23 tirando col 30% scarso.

Kobe, nonostante il ginocchio malconcio, sfugge a Matt Bonner e ne appoggia due al ferro

Nel terzo quarto la situazione tocca il fondo: +18 Toronto. Jalen Rose, ala dei Raptors, preso dalla foga di una partita ormai in discesa, serve l’ennesimo passaggio no look, facendo scivolare il pallone dietro la propria schiena. È lo spartiacque del match: Kobe Bryant, in casa sua, non permette a nessuno di irridere i suoi compagni e i suoi tifosi.

Si ricorda cosa gli ha detto Phil Jackson all’intervallo, negli spogliatoi. Come al solito, Phil non alza la voce, ma semplicemente ricorda ai suoi ragazzi che, banalmente, sono più forti dei loro avversari.

Si parte con sei jump consecutivi di Jordaniana memoria che portano Kobe a quota 47.

Il più classico dei jump allunga il tabellino

Sull’85 pari il Mamba dà la prima forte scossa alla partita: recupera un pallone impossibile sulla linea laterale, vola da solo in contropiede e schiaccia di prepotenza i punti 50 e 51, che firmano il sorpasso.

Il terzo quarto si chiude con un parziale di 12-0 che lancia i Lakers a +6.

Giunti ormai oltre il trentaseiesimo minuto di gioco, Coach Sam Mitchell, allenatore dei Raptors, decide di cambiare la strategia difensiva per cercare di arginare l’uragano Kobe.

La difesa a zona 2-3 applicata da Coach Mitchell, tipica dell’area FIBA, consisteva nel lasciare che Kobe si prendesse tutti i tiri possibili, poiché i suoi quattro compagni non avrebbero avuto lo spazio necessario per tirare. Per oltre mezz’ora lo schema ha funzionato, di fatti nonostante un Kobe ispiratissimo, i Raptors erano sopra anche di 18 lunghezze.

Dal pareggio in poi, si entra nella fase più calda del match. Jalen Rose si incarica personalmente di marcare Kobe per gli ultimi dodici minuti, ma nonostante tutto l’impegno e la grande abnegazione, quella sera nessuno poteva arginare il numero 8.

Kobe spara una tripla in faccia al malcapitato Jalen Rose

Kobe, prima con un P&R, poi con un slalom degno del miglior Allen Iverson e infine con tre liberi a bersaglio, arriva a 64, sfondando il suo career high di 62.

Da questo momento, Kobe inizia a sentire il sapore del sangue, capisce che è ad un passo da un traguardo storico. Spara due triple consecutive, prima in uscita dai blocchi in faccia a Jalen Rose, poi Phil Jackson dipinge uno schema anti raddoppio in uscita dal time out e Kobe spara la tripla che lo porta a quota 70. Mancano ancora 5 minuti e ha già frantumato il career high del suo idolo, MJ. Basta un solo canestro per superare Elgin Baylor e diventare il Laker con più punti in una sola partita.

Per battere l’ennesimo record sceglie il suo marchio di fabbrica: palleggio, arresto, FINTA e tiro dalla media.

Altri due arrivano nel pitturato: partenza verso destra, cerca, trova e sfrutta il contatto con Bonner, la manda su e la retina si muove. 74.

Dopo un’incredible tripla sbagliata con due metri abbondanti, decide di puntare ancora una volta al ferro. Sfugge in mezzo a due avversari, palla dietro la schiena e reverse dunk, ma sul più bello Chris Bosh (si quello che poi andrà a Miami) lo ferma col fallo.

Dalla lunetta Kobe, che viaggia con l’80% abbondante, non sbaglia e ne mette altri due. 76.

Altro giro altra corsa in lunetta, stavolta ci pensa Graham a regalare tre liberi ad un ispiratissimo Black Mamba.

Proprio mentre Kobe è in lunetta, a Phil Jackson viene una delle sue particolarissime idee: perché non sostituirlo? Non sa quanti punti ha segnato, ma è sicuro che sono abbastanza per poter ricevere una Standing Ovation gigantesca. Frank Hamble, storico vice di Coach Zen, gli rinfresca la memoria. Kobe è a 77, ad un solo punto dalla seconda miglior prestazione offensiva di sempre, record appartenente, tanto per cambiare, a Wilt Chamberlain.

Dalla lunetta il Mamba fa 78 e 79. Ha scritto il suo nome nella storia.

Per chiudere il cerchio, compie un ultimo viaggio in lunetta, dove fa 80 e 81.

Kobe esce trionfante dopo aver dipinto un pezzo di storia

Everything is possible. Kobe ne ha messi 81. È la più grande prestazione da quando, il 2 Marzo 1962, Wilt Chamberlain sfondò quota 100.

Appena suona la sirena, tutto lo Staples Center si alza in piedi, per celebrare l’impresa di un eroe.

Il tabellino è spaventoso: 28/46 dal campo, 7/13 da 3 e 18 liberi segnati su 20. 81 punti di cui 55 nel secondo tempo.

Il duro lavoro, la gigantesca forza di volontà, la Mamba Mentality ha permesso ad un singolo uomo di sconfiggere un collettivo, dimostrando che alla fine tutto è possibile, soprattutto se ti chiami Kobe Bean Bryant.

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