Tanti auguri a Dan Peterson per me, numero uno!

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È il 1973. Siamo a Bologna, città in cui la pallacanestro è uno sport profondamente radicato nel territorio e nella storia del capoluogo emiliano. E Bologna è anche la sede di una delle squadre più importanti d’Italia: la Virtus, che sin dagli anni del secondo dopoguerra ha contribuito allo sviluppo del basket nel bel Paese, vincendo quattro scudetti consecutivi tra il ’46 e il ’49 e altri due nel ’55 e nel ’56, confermandosi costantemente ai vertici della Serie A. Ma il decennio successivo agli ultimi due trionfi fu avaro di soddisfazioni, e le V nere si ritrovarono ben presto a lottare per non retrocedere, guardando dal basso la rivale di sempre, l’Olimpia Milano, vincere scudetti su scudetti. Una prima svolta arrivò nel 1968, anno in cui Gianluigi Porelli fu nominato responsabile dell’area basket della polisportiva, che, sotto la sua rigida e attenta guida, diverrà una delle società più ricche e vincenti al mondo. La sua prima grande mossa arrivò nel 1973, e allora riavvolgiamo il nastro a quando il nostro Paese accolse un giovane allenatore 37enne di Evanston, destinato a sigillare il proprio nome nella leggenda della pallacanestro nostrana: Daniel Lowell Peterson, per gli amici Dan.

I PRIMI SUCCESSI

Giunse in Italia da perfetto sconosciuto, con l’etichetta di agente Cia dopo essere andato via dal Cile 12 giorni prima del Golpe: lui infatti, dopo alcune esperienze nei college americani da assistant coach e una quinquennale da capo allenatore nella Università del Delaware, prese le redini della nazionale cilena, portandola al sesto posto ai giochi del Sudamerica. E poi arrivò la chiamata del patron Porelli, che lo volle fortemente sulla panchina della sua Virtus: al momento dello sbarco a Bologna indossa un improbabile look di una stravaganza unica, apparentemente ingannevole, ma quel ragazzo di 1 metro e 68 dalla dialettica mista tra americano, spagnolo e italiano non ci mise molto a far ricredere tutti. Perché il Dan Peterson allenatore è un sergente di ferro con cui non è cosa buona e giusta scherzare: carismatico, diretto, mai banale. Un patrimonio di conoscenze del gioco dal valore inestimabile, capace di trasformare in pochissimo tempo la Virtus Bologna, imponendo una nuova filosofia e riportando al successo le V nere con due semplici concetti: difesa a uomo e contropiede, un mantra. Vinse subito, contro ogni pronostico, la Coppa Italia, e nella stagione ’75-76 ricucì lo scudetto sul petto delle V nere a 18 anni dall’ultima volta grazie a giocatori del calibro di Gigi Serafini e Terry Driscoll.

DAN E L’OLIMPIA, UN LEGAME INSCINDIBILE


Dopo cinque anni alla guida della Virtus Bologna, nel 1978 arrivò il passaggio ai rivali di sempre dell’Olimpia Milano, che affidò a Dan Peterson le chiavi di un nuovo ciclo. Il club veniva da una promozione in massima serie, dopo esser retrocessa in A2 nel 76 quando il marchio era ancora Innocenti. L’anno dopo, con l’arrivo dello sponsor Billy l’Olimpia tornò in Serie A1 sotto la presidenza di Bogoncelli, la cui ultima mossa prima di cedere ai Gabetti fu proprio quella di ingaggiare l’allenatore americano. Al primo anno sulla panchina milanese perse la finale scudetto proprio contro la Virtus, e nelle successive due annate il cammino nazionale si arrestó entrambe le volte nelle semifinali dei playoff. Il 1981 è l’anno della svolta: sul mercato la società piazza un colpo clamoroso, assicurandosi le prestazioni del pivot di Varese Dino Meneghin, oltre a quelle di Roberto Premier, che si riveleranno pedine fondamentali nella conquista, a fine stagione, dello scudetto, il ventesimo nella storia di Milano. Da lì, iniziò un’era storica e irripetibile, l’era dell’Olimpia dei campioni, l’era dello sputare sangue petersoniano capace di riscrivere la storia del basket italiano: Mike D’Antoni, Meneghin, Premier, Giannelli, Boselli, Ferracini, Gallinari senior, la squadra che dall’82 all’87 sarà in grado di vincere tutto: arriveranno altri tre scudetti, due Coppa Italia, ma soprattutto arriverà la consacrazione europea: nel 1985 le scarpette rosse conquistarono la Coppa Korac, e, nel 1987, con l’acquisto di un’altra star americana del calibro di Bob Mcadoo, alzarono al cielo la Coppa dei Campioni. Nello stesso anno Dan Peterson decise di porre fine alla sua carriera da allenatore. Lo definì un grave errore, perché capì che del basket non poteva veramente farne a meno: e allora, a 75 anni, dopo 23 anni di inattività, si rimette in gioco, tornando a casa. l’Olimpia lo chiama, lui non può dire di no e accetta, conducendo Milano fino alle semifinali playoff perse contro Cantù prima di appendere definitivamente la lavagnetta al chiodo.

PER ME, NUMERO UNO!

Dan Peterson è stato il pioniere del basket americano in Italia, ha contribuito allo sviluppo della disciplina nel bel Paese e in Europa, portando una nuova mentalità e una innovativa concezione del gioco e imponendosi come uno dei coach più vincenti della pallacanestro nostrana. Ma Dan Peterson non è stato solo questo, è stato molto di più, divenendo uno di noi, un americano prestato all’Italia, o, come dice lui, un italiano di origini americane. Divenendo un’icona, entrando nelle nostre case e nei nostri cuori con le storiche telecronache del wrestling e, soprattutto, della Nba, un mondo nuovo che Dan ci ha fatto scoprire. Le repliche delle partite su canale cinque, la mattina presto, con il suo inconfondibile accento, il marchio di fabbrica, a portarci con lui alla scoperta del nuovo continente. E come dimenticare gli spot del tè Lipton, che “quando il sole ti spacca in quattro non si sbaglia, una brocca d’acqua ghiacciata e tutto il gusto di Lipton Ice Tea, fenomenale”. Sono sicuro che, in questo momento, lo stai leggendo con la sua voce. Un personaggio poliedrico, unico nel suo genere, un signore. Simpatia, competenza e professionalità di altri tempi, che oggi omaggiamo. Mama, butta la pasta: tanti auguri Dan Peterson, per me numero uno.

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