“With the first pick in 2003 NBA Draft, the Cleveland Cavaliers select LeBron James”
Con queste parole, dal palco del Madison Square Garden il commissioner David Stern, annunciava l’ingresso di LeBron James nella lega più famosa del mondo.
Il ragazzo di Akron ce l’ha fatta. Ha avuto la meglio sul ghetto, sempre pronto ad accogliere i ragazzi dalle vite difficili.
Un’infanzia terribile, trascorsa senza un padre e senza un dollaro in tasca, fatta di sistematici traslochi per adattare il proprio stile di vita con le finanze dell’amata madre in caduta libera.
Essere un bambino nero, nell’Ohio dei primi anni ‘90, significa finire quasi automaticamente nei ghetti. Vivere in quelle strade significa mettere continuamente a repentaglio la propria vita, e ogni giorno vissuto in più è un giorno guadagnato.
Ad appena nove anni, un angelo custode lo strappa alla malavita. Si chiama Frank Walker e di professione fa l’allenatore di football a scuola. Ha capito che il ragazzo ha un talento incredibile, da preservare perché può veramente diventare qualcuno di importante. Mamma Gloria, a malincuore, ma per garantirgli un futuro migliore, lo affida agli Walker nei giorni lavorativi. La parentesi lontano da casa lo indirizzerà verso il basket e gli garantirà sia disciplina che una vita normale. Finite le elementari, si iscrive alla St Vincent-St Mary High School, dove il suo immenso talento con la palla a spicchi in mano, sboccia, nonostante sia martellato dai bulli.
In migliaia arrivano da tutta l’america per vedere quel ragazzo prodigio che con la palla a spicchi fa quello che vuole e i 1200 posti della palestra della scuola di colpo sono diventati pochissimi. Per questo motivo, i STVM Fighting Irish si trasferiscono nel palazzetto dell’Università di Akron da quasi 6000 posti.
Nessun liceale aveva mai ottenuto così tanta attenzione mediatica da finire addirittura sulla copertina di Sport Illustrated, che lo battezzerà The Chosen One. Era il 18 Febbraio 2002 e, meno di un anno dopo, la sfida fra lui e l’amico di una vita, Carmelo Anthony, in forza alla Oak Hill Academy, finisce addirittura in diretta su ESPN.

18 Aprile 2002
Le premesse per diventare uno dei giocatori più iconici della lega ci sono tutte, ma in NBA si gioca un altro sport e passare alla storia come uno dei più sopravvalutati di sempre non è difficile.
Cleveland, my home.
Il 29 Ottobre 2003 veste la canotta dei Cleveland Cavaliers, la squadra che amava da bambino, per la prima volta in una partita ufficiale. Si gioca a Sacramento e già all’esordio batte il primo record: mai nessuno aveva debuttato in NBA segnando 25 punti venendo direttamente dalla high-School.
Quando LeBron arriva ai Cavs, la squadra non naviga in acque serene. I playoff mancano da 6 anni e sono reduci da una stagione da sole 17 vittorie. Fare peggio è oggettivamente impossibile.
Ben presto, però, il Front Office dei Cavs si rende conto di avere tra le mani qualcosa in più di un gran giocatore e spunta la necessità di creare un roster competitivo intorno al numero 23. Uno come LeBron, nella storia di una franchigia come i Cleveland Cavaliers, può passare una volta, non di più.
Passano gli anni e la squadra migliora stagione dopo stagione, fino a toccare l’apice nell’estate del 2007, quando raggiungono le Finals. Purtroppo, per LeBron & Co, i San Antonio di Gregg Popovich sono imbattibili e in sole 4 gare liquidano la serie. La squadra è forte, ma non abbastanza da competere per l’anello e su LeBron iniziano a piovere le prime grosse critiche. Viene definito un perdente nato, uno che non vincerà mai un titolo, addirittura c’è chi lo etichetta come sopravvalutato.

Nei successivi tre anni i Cavs si fermeranno due volte alle Semifinali di Conference e una volta alle Finali dell’Est.
Il contratto di LeBron scade nell’estate del 2010 e nella sua testa, dopo la sconfitta contro San Antonio, inizia a maturare l’idea di lasciare Cleveland e l’Ohio per andare a vincere altrove.
Un nuovo capitolo: South Beach
Se deve lasciare Cleveland, lo farà in grande stile.
Per tutta l’estate si susseguono voci su dove andrà LeBron. C’è chi dice Knicks, chi Miami, chi spera di vederlo ai Lakers, chi ai Boston Celtics, ma solo lui e il suo agente sanno la verità.
La sera dell’8 Luglio 2010, davanti a 13 milioni di persone, in diretta su ESPN, LeBron James comunica al mondo che di lì a poche settimane andrà a giocare ai Miami Heat insieme a Dwyane Wade e Chris Bosh.
A Cleveland diventa, in un attimo, dall’idolo delle folle al nemico pubblico. In piazza vengono bruciate le sue canotte e, addirittura, il presidente dei Cavs dirà che vinceranno un titolo prima che lo vinca LeBron.
Al primo anno, passato il periodo di adattamento ai nuovi schemi di Coach Spoelstra, la squadra si impone come assoluta dominatrice dell’est, ma alle Finals il grande assente è LeBron. Chiariamoci, in tanti si sognano delle prestazioni del genere, ma il Re ci ha abituati fin troppo bene a suon di trentelli.
La sconfitta contro Nowitzki e i suoi Dallas Mavericks spinge The Chosen One a migliorarsi ancora. Il secondo anno a South Beach è quello buono: domina la RS vincendo l’MVP, è straripante ai playoff e gigantesco alle Finals contro OKC. È il 22 Giugno 2012 e per la prima volta, LeBron James alza al cielo il famigerato Larry O’Brien.

È la rivincita del ragazzo di Akron, che finalmente si toglie l’etichetta del perdente, scrivendo il proprio nome nell’albo d’oro degli MVP delle Finals.
La storia si ripete un anno dopo, in una delle serie di finali più belle di sempre contro quei San Antonio Spurs che, 6 anni prima, gli negarono la prima gioia. Dopo il match point Spurs, il Re trascina i suoi sudditi al titolo con 69 punti combinati fra Gara 6 e Gara 7.
Proprio sul più bello, proprio quando i Big Three sembrano aver instaurato una dinastia, un anno dopo le 7 magnifiche gare contro gli Spurs, Gregg Popovich si prende la rivincita.
Neanche il tempo di metabolizzare la sconfitta contro San Antonio, che il Prescelto decide di tornare a casa. Stavolta niente show televisivi, ma una lettera scritta col cuore, uscita su Sport Illustrated l’11 Luglio 2014.
Cleveland, i’m back.
I quattro anni passati a Miami gli sono serviti per maturare, per diventare un uomo, per imparare sia a vincere che a perdere.
Adesso si sente pronto per tornare alla Quicken Loans Arena che, oltre dieci anni prima, gli aveva spalancato le porte dell’NBA quando ancora era minorenne.
A Cleveland trova una squadra profondamente cambiata, che può contare su un ottimo rimbalzista quale Tristan Thompson e soprattutto, sul funambolico Kyrie Irving.
All’improvviso, dopo non aver più centrato i playoff da quando LeBron è andato via, i Cavs si ritrovano fra le favorite al titolo.
Il Re è consapevole che a Miami avrebbe più possibilità di vincere, ma regalare alla sua città il primo titolo della loro storia non ha prezzo.

Va subito vicino all’impresa, trascinando i suoi Cavs fino alle finals contro i Golden State Warriors e riuscendo a portarsi avanti 2-1. Purtroppo, il genio di Steve Kerr, inserisce Iguodala in quintetto e la musica cambia. Golden State ribalta la serie con tre vittorie consecutive e conquista il titolo. Per LeBron è la seconda sconfitta consecutiva alle finals.
Ogni disfatta lo spinge a fare ancora meglio, a migliorarsi giorno dopo giorno. L’anno dopo, potrebbe essere quello buono.
Arrivano alle finals dopo aver battuto Detroit, Atlanta e Toronto, ma nonostante due sole sconfitte, i favoriti non sono loro. Di là ci sono i soliti Golden State Warriors, come un anno prima, ma stavolta sono reduci da 73 vittorie, con Curry eletto MVP all’unanimità.
Fare l’impresa non è difficile, è quasi impossibile. Le prime due gare vanno ai GSW, in gara 3 LeBron riapre tutto, ma Gara 4 è dominata da Curry.
La storia, apparentemente già scritta, viene completamente stravolta dalla squalifica di Draymond Green da scontare in Gara 5.
Senza il proprio leader carismatico, nonché diretto marcatore di LeBron, gli Warriors cadono a picco. I Cavs sbancano la Oracle Arena. È un vero e proprio show del Re che insieme a Irving combina 82 punti su 112 totali. Cleveland prende fiducia, capisce che l’impresa è possibile, basta una vittoria davanti al proprio pubblico per giocarsi il tutto per tutto in Gara 7.
Nonostante il rientro di Draymond Green, The Chosen One sforna una delle prestazioni più dominanti della storia. Ne mette altri 41, con 11 assist e 8 rimbalzi.
Gara 7 è the game for the ages, comunque vada a finire è una gara storica. Il primo titolo dei Cleveland Cavaliers o l’anello dopo le 73 vittorie dei Golden State Warriors.
È una gara di nervi, di inerzia, pochi canestri, tanti errori. Sull’89 pari, a poco più di un minuto dalla fine, LeBron James stampa sul tabellone la stoppata del secolo ai danni di Iguodala. Irving mette la tripla del sorpasso e dalla lunetta il Re mette la firma sul titolo.
“Cleveland, this is for you!” Dirà LeBron a fine partita, in lacrime. Il ragazzo di Akron, cresciuto senza un padre e costretto ai salti mortali per sfuggire al ghetto, ha portato la sua città sul tetto del mondo.

Ci riproverà sia l’anno dopo, che quello ancora successivo, ma i Golden State Warriors hanno preso Kevin Durant, diventando invincibili.
A nulla servirà il LeBron più dominante di sempre, i Cavs vinceranno una sola partita in due anni di Finals e LeBron sente il bisogno di cambiare aria, rifiutando 35 milioni pur di andare free agent.
Welcome to LA
Nella prima notte della Free Agency, il telefono di LeBron squilla all’improvviso.
Non è un facoltoso imprenditore alla ricerca di un uomo immagine per la sua franchigia, è il più grande Laker di tutti i tempi, Magic Johnson, stavolta nelle vesti di presidente della franchigia.
Mette sul piatto un contratto da 154 milioni in 4 anni, con la promessa di vincere più titoli possibili. Il Re non ci pensa due volte, appena ha finito la vacanza in Costiera Amalfitana, volerà in California per firmare coi Lakers.
Lo attende una squadra giovane ma talentuosa che potrebbe diventare una contender a sorpresa.
Dopo due mesi di tutto rispetto, a Natale LeBron sente dolore all’inguine. È l’inizio della fine dei Lakers che nei mesi successivi perderanno anche Rondo, Ingram e Lonzo Ball.
Per la sesta volta consecutiva i Lakers non arrivano ai playoff, nonostante LeBron.
Per tutta la stagione, però, si rincorrono le voci di una trade che porterebbe Anthony Davis da New Orleans a Los Angeles, per comporre una coppia da titolo insieme al Prescelto.
Scambio che si farà, ma soltanto in estate.
A New Orleans vanno Lonzo Ball, Brandon Ingram, Josh Hart e DeAndre Hunter, più diverse scelte al draft, ai Lakers Anthony Davis.
La stagione del riscatto è la più travagliata della storia, quella della bolla anti covid, organizzata al Walt Disney World Resort di Lake Buena Vista. L’intesa tra Davis e il Re è spaventosa, sembrano compagni da una vita, e insieme dominano sia la regular season che i playoff. Alle Finals, in una AdventHealth Arena blindatissima, LeBron ritrova i suoi Miami Heat, guidati sempre da Coach Spoelstra, l’uomo che insegnò al Re come si vince.
Gli Heat sono forti, giovani, giocano bene e si difendono forte, ma contro LeBron e la sua fame di vittoria non c’è storia.
Quarto anello, quarto mvp delle finals.

Per confermarsi campioni ma con Anthony Davis bloccato dagli infortuni, LeBron è chiamato agli straordinari durante tutta la regular season. C’è chi, addirittura, gli darebbe l’MVP otto anni dopo l’ultima volta.
Proprio sul più bello, la caviglia destra fra crack contro Atlanta. È l’infortunio più grave della sua carriera, addirittura peggiore di quello di Natale che gli ha precluso i playoff due anni prima. Resta fuori più di un mese e i Lakers, senza i due pilastri, crollano in zona play-in.
LeBron, nonostante non sia ancora al 100%, decide di tornare per salvare i suoi uomini dal baratro, riuscendo a conquistare prima un posto ai play-in, poi, dopo aver battuto i Golden State Warriors grazie ad una tripla impossibile del Re, agguantano i playoff.
Playoff che durano appena 6 partite. LeBron James, al diciottesimo anno nella lega, per la prima volta esce al primo turno dei playoff per mano dei Phoenix Suns
Questa sconfitta, forse la peggiore della carriera, lo porta a rifondare completamente il roster insieme al GM Rob Pelinka. Se ne vanno quasi tutti e da Washington arriva, su consiglio dello stesso LeBron, Russell Westbrook. Col pochissimo spazio salariale rimasto, Pelinka fa i salti mortali per portare a casa una schiera di veterani al minimo fra cui i ritorni di Howard, Rondo, Avery Bradley, Kent Bazemore, Wayne Ellington e Trevor Ariza. Arrvano anche Malik Monk, DeAndre Jordan, Austin Reaves, Kendrick Nunn e, soprattutto, Carmelo Anthony.
Fra mille incertezze, un roster sulla carta fortissimo ma con mille problemi di spaziature e intesa inizia il diciannovesimo anno di LeBron nella lega. L’età avanza, il suo gioco è cambiato, ma quando è sul parquet tende ancora a fare la differenza, sfornando trentelli come se avesse ancora 25 anni.
37 anni fa, al Summa Akron City Hospital nasceva LeBron Raymone James, il più grande, forse, di sempre.


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