Mentre la sua brillante carriera, trascorsa fra Milwaukee, Seattle e Boston, sta incamminandosi sul viale del tramonto, Ray Allen è chiamato all’ultima impresa prima di congedarsi dalla palla a spicchi ed aspettare che il suo nome venga iscritto nella Naismith Hall of Fame: aiutare i Big Three di Miami a vincere più titoli possibili.
Candy Man, così chiamato dai suoi tifosi per l’incredibile eleganza nello stile di gioco, ha una caratteristica peculiare che lo distingue dagli altri: soffre di un leggero disturbo ossessivo-compulsivo che lo porta a cercare la perfezione in ogni momento con la palla in mano. Proprio per questo motivo, fin dal suo primo giorno in un campo di basket, si allena maniacalmente a tirare da 3. In virtù di ciò, detiene il record di triple in carriera e, almeno fino all’avvento degli Splash Brothers Steph Curry e Klay Thompson, era ritenuta il miglior tiratore da 3 della storia all’unanimità.
Ray però non è più quello del 2008, quando insieme a Pierce, Rondo e Garnett, alzava al cielo l’ultimo anello (fin’ora) di una squadra leggendaria come i Boston Celtics. Nelle gambe non ha più di 20-25 minuti e per di più, la guardia titolare è l’inamovibile Dwyane Wade.

Però, quando l’età avanza e il fisico inizia a cedere, c’è solo una cosa che non andrà mai via: il tiro. E se ti chiami Ray Allen, puoi anche giocare da fermo, tanto bucheresti la retina anche da 50 metri.
La stagione dei Miami Heat scorre a meraviglia, senza nessun intoppo e come da pronostico arrivano in cima alla Eastern Conference. Ai playoff i primi due turni sono una passeggiata: 4-0 ai Milwaukee Bucks e 4-1 ai Chicago Bulls. Dopo aver sgretolato le prime due squadre, arriva il primo grattacapo della stagione. Sono gli Indiana Pacers di Frank Vogel in panchina e di Paul George in campo che, come i Celtics un anno prima, si arrendono soltanto in Gara 7.
Per bissare il titolo bisogna sconfiggere una squadra leggendaria quasi al canto del cigno, chiamata a trarre il massimo dai propri singoli. Sono i San Antonio Spurs di Tony Parker, Manu Ginobili e Tim Duncan, con l’aggiunta del giovane Kawhi Leonard, ovviamente allenati dall’eterno Gregg Popovich.

Nelle prime due gare, giocate a Miami, regna l’equilibrio con una vittoria a testa. Le seconde due si giocano a San Antonio, ma il copione è lo stesso. Il fattore campo favorirebbe i Miami Heat: Gara 5 e l’eventuale Gara 7 le giocheranno in casa. Ma l’equilibrio, che ha fatto da padrone per le prime quattro partite, viene rotto in Gara 5. A sorpresa gli Spurs si guadagnano il match point vincendo in casa dei Big Three. Gara 6 a San Antonio è la più importante e le due squadre non deludono. Nessuno cede, si gioca punto a punto fino alla fine.
Il finale, però, sembra pendere verso la banda di Popovich: il tabellino segna 95 a 92 con una manciata di secondi disponibili, abbastanza però, per giocarsi un paio di possessi veloci per parte.
Gli Heat cercano disperatamente la tripla per mandarla all’overtime. La palla per il pareggio è in mano, tanto per cambiare, a LeBron. Il Re, che non è un tiratore naturale, tira un mattone terrificante sul tabellone. Nessun problema, sotto c’è, come sempre, Chris Bosh, che cattura il rimbalzo più importante della sua carriera. In tempi record afferra la palla, si gira verso l’angolo e scarica nell’angolo per Ray Allen.
Ha pochissimi centimetri per mettere i piedi e Tony Parker addosso, ma per spaventare uno come lui ci vuole ben altro.
Tira con la sua solita naturalezza da una posizione impossibile, ma consapevole che quel pallone finirà dentro la retina. E così è. Lo Specialista, come lo chiama Flavio Tranquillo, è arrivato a Miami proprio per questo.

Un tiro impossibile, scoccato con la mano del difensore praticamente in faccia, da una posizione altrettanto impossibile, che solo lui poteva segnare. L’overtime porterà la serie a Gara 7, dove LeBron e compagni alzeranno il secondo anello consecutivo, ma questa è un’altra storia..


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