I Lakers e lo Showtime – Che lo spettacolo abbia inizio

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25 Giugno 1979: a New York va in scena, come ogni anno, il draft. È uno di quegli anni in cui tutti sanno chi sarà la prima scelta, che, sulla carta, è dei New Orleans Jazz (che nel ‘79 si trasferiranno in Utah). Se non fosse che, un paio di anni prima, in una delle tante trade che costellano la stagione NBA, i diritti della prima scelta vanno ai Los Angeles Lakers.

Il miglior giocatore in uscita dal College viene da Michigan State, si chiama Earvin Johnson Jr ma per tutti ormai è semplicemente Magic. È un enorme playmaker di oltre due metri con delle mani fatate e una visione di gioco fuori dal normale. Nelle due stagioni a MSU ha viaggiato con 17 punti di media, oltre 7 assist e più di 7 rimbalzi tirando dal campo col 46% abbondante.

Draft 1979: da Michigan State arriva Magic Johnson

Ai Lakers già da quattro anni c’è un altro grandissimo del basket: Mr Sky Hook, Kareem Abdul Jabbar. Dopo un decennio ad altissimi livelli, i Lakers sono in crisi: a stento riescono a passare il primo turno dei playoff. Serve un giocatore capace di svoltare le sorti di una franchigia e quel giocatore è lui, il numero 33 dei Michigan State Spartans. È l’inizio di una nuova era in NBA: l’era dello Showtime, della squadra più bella di sempre, dove il divertimento e lo spettacolo, figli naturali dei ritmi frenetici, dei no-look e delle schiacciate, vanno al primo posto.

La prima stagione dell’era Jerry Buss, nuovo proprietario della franchigia, si chiude con 60 vittorie e il primo posto nella Western Conference, l’MVP va a Kareem Abdul Jabbar, ma è ai playoff che viene fuori il ragazzino da Michigan State. Mai nessuno era riuscito a vincere l’MVP delle finals al primo anno nella lega, ma se ti chiamano Magic, probabilmente un motivo c’è. La gara che lo consegna alla leggenda, all’età di appena vent’anni, è la meravigliosa gara 6 delle Finals.

La vigilia di Gara 6 non fa ben sperare: Kareem Abdul Jabbar dopo una prestazione mostruosa da 40 punti in gara 5, ha male a una caviglia. 48 ore di riposo non bastano e il Coach lo lascia a casa, in vista di un’eventuale Gara 7.

Per farvi capire l’importanza di Mr Sky Hook nei Lakers: Nei playoff viaggia a 33 punti abbondanti di media e oltre 13 rimbalzi. Farne a meno è, per usare un eufemismo, piuttosto complicato.

A sorpresa, Coach Paul Westhead stravolge le rotazioni: il centro di riserva sarebbe Mark Landsberger, ma in quintetto scende Michael Cooper, una guardia. Chi gioca centro? Il ragazzino da Michigan State. Magic Johnson, uno dei più grandi play della storia, se non il più grande, schierato come centro titolare.

Il ragazzo, però, dimostra di avere una personalità stratosferica: in 47 minuti giocati a tutto campo mette a segno 42 punti tirando col 60% e senza sbagliare nemmeno uno dei 14 liberi. A questi vanno aggiunti 15 rimbalzi e 7 assist, oltre a 3 recuperi e, ciliegina sulla torta, una stoppata. Una partita leggendaria, a culmine di una serie di finali giocata a livelli alieni, lo incorona MVP delle finals.

Non era mai successo che un rookie fosse eletto MVP delle finals e ad oggi, 41 anni dopo, a nessun ragazzo appena uscito dal draft è riuscito arrivare fin lì.

Magic bacia il suo primo Larry O’Brien Trophy

I bookmakers non hanno dubbi: i Lakers faranno il bis. Non hanno fatto i conti, però, con l’infortunio di Magic, che lo terrà fuori dal parquet per 45 partite. Nel mentre, però, dall’altra parte degli USA, viene fuori un’altra grande squadra, guidata dal rivale numero 1 di Magic ai tempi del College. Il ragazzo si chiama Larry Joe Bird, viene da Indiana State University e gioca nei Boston Celtics, ma questa è un’altra storia.

Torniamo a noi: i Lakers campioni in carica ma privi di Magic per metá stagione, ai playoff non passano il primo turno.

1981: Anno nuovo, coach nuovo. Dopo un record iniziale di 7-4 e tante, troppe, frizioni con Magic, Jerry Buss, proprietario indiscusso della franchigia, licenzia Coach Paul Westhead. La soluzione la trova in casa, promuovendo Pat Riley ad allenatore capo.

Coach Riley è una vecchia conoscenza dell’NBA, ha già vinto un titolo coi Lakers da giocatore, ma non ha esperienza in panchina da capo allenatore. Poco importa: la squadra viaggia col vento in poppa sulla costa Pacifica e ai playoff infila nove vittorie consecutive. I gialloviola non hanno rivali e alle finals, ancora contro i Philadelphia 76ers, Magic Johnson si porta a casa il secondo MVP in tre anni.

Coach Riley con Kareem Abdul Jabbar

Venti giorni dopo la vittoria dell’ottavo titolo, ai Lakers spetta l’onore di aprire il draft. Con la prima assoluta viene chiamato James Worthy da North Carolina (la stessa North Carolina che tre anni dopo regalerà al basket un certo Michael Jordan).

Dopo due finali perse in due anni, lo showtime raggiunge l’apice: Pat Riley ha saputo creare l’alchimia giusta fra i fenomeni, che in campo si divertono e regalano spettacolo. Il Forum è sempre stracolmo, ma l’anello sembra una maledizione, prima un sonoro 4-0 patito contro i fenomenali 76ers di Doctor J e Moses Malone, poi una logorante sconfitta in Gara 7 contro Larry Bird e i suoi Celtics.

La vendetta, tanto agognata, arriva un anno dopo. La serie inizia, però, nel peggiore dei modi: i Boston Celtics massacrano i Lakers 148 a 114. Sembra una serie giá scritta, a Los Angeles non si parla d’altro per tre, infiniti, giorni. Piovono critiche dappertutto, ma lo Showtime alla fine ha la meglio. L’MVP é l’uomo che non ti aspetti: 14 anni dopo l’ultima volta, Kareem Abdul Jabbar trionfa nella corsa al miglior giocatore delle finals, dimostrando ancora una volta che l’età è solo un numero e che a 38 anni è ancora il più forte di tutti.

La copertina di Sport Illustrated celebra il trionfo dei Lakers di Capitan Jabbar

L’anno dopo non riusciranno a ripetersi, ma il biennio 1987-1988 segna il momento più alto dello Showtime targato Los Angeles Lakers, che guarda caso, coincide con l’apoteosi di Magic.

Il ragazzo da Michigan State ha 26 anni, giá 3 titoli in bacheca di cui i primi due da MVP. All’appello manca solo l’MVP della Regular Season che arriva puntualmente dopo aver giocato 80 partite con un ruolino di marcia impressionante: 24 punti, 12,2 assist e 6,3 rimbalzi.

Nella scalata verso le finals i Lakers archiviano il primo posto con 11 vittorie e una sola, ininfluente, sconfitta. Le finals sono probabilmente le più belle del decennio, le due superpotenze degli anni ‘80, guidati dai due migliori giocatori della lega al loro apice, si sfidano in 7 gare all’ultimo sangue.

Le prime due si giocano al Forum e sono praticamente a senso unico: i Lakers non vincono, stravincono grazie all’onnipotenza di Magic. Si va a Boston, dove Larry Bird trascina i suoi sul 2-1 con 30 punti.

Gara 4 è decisiva: una vittoria dei Celtics riaprirebbe tutto, mentre il trionfo dei californiani metterebbe una seria ipoteca sulla serie. Si va per le lunghe e possesso dopo possesso i Lakers rimontano lo svantaggio, ma a Boston non ne vogliono sapere di cedere, tant’è che a 7 secondi dalla fine sono sopra di uno. Per vincerla serve un colpo di genio, un tiro praticamente infallibile, perché non ci sarà una seconda possibilità. Serve un colpo imprevedibile. Per l’occasione, il solito Magic Johnson chiede, ed ottiene, il prestito del gancio cielo al suo capitano. Ammutolito un intero palazzetto in cinque secondi netti. Magic regala il primo match point ai Lakers con un clamoroso gancio cielo praticamente sulla sirena.

Il clamoroso skyhook di Magic in Gara 4 contro i Celtics

Si andrà comunque a gara 6, ma ogni sforzo sarà vano. Magic Johnson corona una stagione meravigliosa con un altrettanto meraviglioso MVP delle finals. Un anno dopo la storia si ripeterà, ma contro i Detroit Pistons di Isiah Thomas e Dennis Rodman, piegati in 7 meravigliose gare.

Lo showtime, il movimento che ha reso l’NBA un fenomeno globale, che ha fatto divertire milioni di persone, si chiude fra il 1989 e il 1990, lasciando spazio ad un’altra epoca: l’epoca di Michael Jeffrey Jordan.

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