Era il 1990, e un ragazzo di 19 anni è in procinto di partire verso l’Itaca del tennis. Il mondo dei grandi lo aspettava, forse lui non ne era ancora a conoscenza. Ma poi capì di non essere uno dei tanti. E di li a poco lo avrebbero capito tutti. Pete Sampras, all’anagrafe Petros Sampras, nato a Potomac, nel Maryland, il 12 agosto del 1971. Sappiamo tutti come sia disegnata schematicamente l’infanzia di un bambino: prima o poi, troverà un oggetto sferico. Piccolo o grande che sia. Ed ecco come inizia il viaggio di Pete. A tre anni trova una pallina da tennis in cantina, e inizierà a giocarci con una vecchia racchetta, colpendola ripetutamente contro il muro. Il suo idolo d’infanzia è Rod Laver, e una volta trasferitosi a Paolo Verdes, in California, per dedicarsi a tempo pieno al tennis, ebbe l’occasione, all’età di 11 anni, di allenarsi con lui. Ma forse non avrebbe potuto immaginare di raggiungerlo nell’olimpo della disciplina. Intanto si mise in mostra in vari tornei giovanili attraverso il Jack Kramer Club, prima dell’approdo tra i professionisti, avvenuto nel 1988, all’età di 16 anni. Il suo coach, sino al 1989, era Robert Landsorp, affiancato dall’amico di famiglia Peter Fischer, che affinarono il suo stile di gioco, stimandolo a sfruttare il dritto e il rovescio ad una mano per favorire le situazioni sotto rete. Non a caso ci mise un po’ prima di mettere in pratica quelli che poi saranno i suoi marchi di fabbrica. I primi anni sono duri: l’anemia mediterranea che lo colpisce in tenera età non gli permette di esprimersi come vorrebbe, e il suo gioco era ancora da modellare. Era ancora un foglio bianco tutta da riempire, le idee c’erano e con il duro lavoro scrissero pagine leggendarie della storia del tennis.
Il primo titolo e la scalata: Pete Sampras è descritto come un lupo solitario, molto introverso, ma un lottatore, caratteristica presa dalla madre emigrata negli States da Sparta, patria dei guerrieri, che ripropose in campo, dove non mollava mai, e poteva ribaltarti quando meno ce lo si poteva aspettare. Pete lavorava tanto, con grande dedizione e cura dei dettagli. Un grande professionista, serio ed educato, che di lì a poco verrà apprezzato per la sua etica del lavoro da grande campione che sarà. Migliorò sul piano fisico, mentale, il suo gioco migliorò via vai scorrendo. Era il 1990, e un ragazzo è in procinto di partire verso l’Itaca del tennis. Da qui parte la nostra storia. Da giocatore “fondocampista”, acquisì la struttura ideale per imporsi, e tutto partì dal torneo di Sidney ’90. Pete era numero 81 del mondo, e venne sconfitto ai quarti di finale da Wilander, poi esce al quarto turno dell’Australian Open, eliminato da Yannick Noah. Successivamente arriva il mese di febbraio, dove Pete agguanta la prima finale della carriera all’U.S. Pro Indoor. Il cammino verso l’ultima tappa del torneo comprende le vittorie contro Mayotte e soprattutto Andre Agassi, con il quale negli anni a venire si sarebbe instaurata una rivalità storica. Nell’atto conclusivo Pete ha la meglio su Andres Gomez, vincendo il suo primo titolo da professionista, agguantando la prima posizione nel ranking mondiale. Da quel momento in poi, Pete comincerà a dominare, scalando pian piano i vertici. Da quel momento, il resto è storia: 14 titoli del Grande Slam, 7 Wimbledon sparsi tra il 1993 e il 2000, a cavallo dei suoi anni migliori, 5 US Open, 2 Australian Open. Pauroso.
L’arte della semplicità: il tennis di Sampras era qualcosa di magnifico. Eppure era tutto così semplice: un tennis aggressivo, offensivo, sempre all’attacco, favorito dal suo servizio potentissimo, un dritto martellante, discese a rete, dove metteva in pratica il suo serve and volley esteticamente meraviglioso per sensibilità, tocco e precisione. Amava le superfici veloci, dove era praticamente impossibile da battere. Pete Sampras era un artista, ma era tutto dannatamente semplice e spettacolare.
La storica rivalità con Agassi, le partite leggendarie: i veri amanti del tennis non possono dimenticare le sfide tra Pete e Agassi, i gemelli contrari. Il loro stile era agli antipodi, erano completamente opposti e proprio ciò era il motore dello spettacolo. Ogni loro sfida teneva incollati al TV migliaia di persone in tutto il mondo. La prima sfida fu nel 1989, agli internazionali di Roma, e vinse Andre 6-2/6-1. “Non mi sembra tutto sto granché”, dichiarò al suo coach. Un anno dopo si incontrarono agli US Open, ma in quel torneo Pete fece il devasto, eliminando Ivan Lendl e John McEnroe. Sorprese tutti, e nella finale prevalse in soli tre set sul rivale. Le partite entrate nell’immaginario collettivo sono arcinote: US Open 2001, quarti di finale terminati 6-7(7), 7-6(2), 7-6(2), 7-6(5) in favore di Sampras, in una sfida in cui nessuno dei due riuscì a strappare il servizio all’altro. La seconda partita è la semifinale dell’Australian Open 2000, terminata 6-4, 3-6, 6-7(0), 7-6(5), 6-1 in favore di Agassi, che poi vinse il torneo.
Oggi compie 51 anni una leggenda del tennis mondiale, Pete Sampras. 14 titoli del Grande Slam, 286 settimane passate in vetta alla classifica atp. Un mostro sacro.


Lascia un commento